Pubblicato il 22 febbraio 2006 su La Voce di Romagna
in prima pagina
di Simone Mariotti
"Non private mai un uomo dell'amore e della speranza.
Quest'ultimo cammina, ma è in realtà morto", dicevi.
Maria Antonietta ("il mio spirito") di amore profondo credo te ne
abbia dato tanto, sino all'ultima pulsazione del tuo cuore, come sempre, come
comunicano i suoi occhi, la sua voce. Un amore che forse in troppi oggi, nella
sua forma più profonda, ignorano.
A partire da coloro che hanno deciso di fare di una morale spiccia e meschina
la ragione della loro vita, per fare un po' di carriera, meglio se costruita
sul dolore altrui; per sentirsi meno impotenti ordinando agli altri come vivere
la loro vita. E quell'amore non sarà mai capace di uscire vivo dai loro
occhi, uccisi dalla loro violenza.
La speranza, caro Luca l'hai cercata, e avevi contribuito a costruirla per tutti,
soprattutto per quelli più deboli di te.
Ti ricordi le parole di José Saramago (Nobel per la letteratura 1998)
nel 2001?
"Forse il sostegno di un semplice scrittore come me stonerà un po'.
O anche troppo, nella lista delle personalità scientifiche che, con i
loro nomi ed il loro prestigio, suggellano le affermazioni rese da Luca Coscioni
in quella sua lettera del 20 marzo, così chiara e commovente.
Purché la luce della ragione e del rispetto umano possa illuminare i
tetri spiriti di coloro che si credono ancora, e per sempre padroni del nostro
destino. Attendevamo da molto tempo che si facesse giorno, eravamo sfiancati
dall'attesa, ma ad un tratto il coraggio di un uomo reso muto da una malattia
terribile ci ha restituito una nuova forza. Grazie, per questo".
E si è fatto giorno, dopo una lunga nostra attesa, durante l'addio ad
un altro compagno che aveva lottato da solo e che fu censurato, escluso, dimenticato
proprio perché libero. Con le tue parole dal silenzio avevi chiamato
i radicali. "Sono Luca Coscioni, malato gravissimo di sclerosi laterale
amiotrofica; c'è da portare avanti una battaglia di libertà e
forse altri potranno avere una speranza in più. Siete con me?".
Marco Cappato lesse il lungo testo della tua prima mail proprio al funerale
di Antonio Russo, il più grande omaggio all'amico ucciso in Cecenia,
la raccolta di un nuovo testimone.
E sei arrivato con la tua voce elettronica che aveva la forza di un maratoneta,
incalzante, che non si ferma, penetrante e che ha tenuto i radicali uniti, e
più forti.
"Certe volte mi domando cosa mi tenga in vita. E' la maratona, è
l'averla corsa che non mi fa mai chinare il capo. Sono nel fango, cado, mi rialzo
e cado; ma ogni volta che mi rimetto in piedi, per poi subito dopo ricadere,
mi accorgo che il fango non mi si è attaccato addosso, sono pulito, devo
esserlo".
Tra le cose più preziose, ci resta il tuo coraggio, e la generosità,
di chi sa che non si deve mollare. Si deve andare avanti, senza schemi fissi
o rigidi per l'esistenza.
Si fa, per sbagliare, anche. Pazienza. Si lotta con gioia, con tenacia, con
amore, e con inquietudine, certo. E se si ama all'improvviso, ma con un fremito
di terrore, ti devi fermare? Se scopri così in fretta che non sarai più
sola, ti devi preoccupare? Se volgi il tuo sguardo dietro di te, dentro di te,
ancora una volta, l'ultima volta, che fare? Saluta con un bacio quello che vedi,
ed abbraccia chi ora ti sta di fronte. Se hai coraggio di rivoltarti ancora.
E se avremo la saggezza di usare al meglio tutte le parole che ci sono concesse,
quelle stesse che erano le tue "risorse scarse", che ti forzavano
alla chiarezza, soprattutto con te stesso, per noi sarà un successo se
sapremo farci anche solo ascoltare. Fai quello che devi accada quello che può.
Lo sapevi bene anche tu, prima ancora che Marco trovasse i tuoi occhi.
"C'era un tempo per i miracoli della fede. C'è un tempo per i miracoli
della scienza. Un giorno il mio medico potrà, lo spero, dirmi: "Prova
ad alzarti, perché forse cammini". Ma non ho molto tempo, non abbiamo
molto tempo. E, tra una lacrima e un sorriso, le nostre dure esistenze non hanno
bisogno degli anatemi e dei fondamentalismi religiosi, ma del silenzio della
libertà, che è democrazia. Le nostre esistenze hanno bisogno di
una cura, di una cura per corpi e spiriti. Le nostre esistenze hanno bisogno
di libertà per la ricerca scientifica. Ma non possono aspettare. Non
possono aspettare le scuse di uno dei prossimi Papi."
Scusa, ma mi infastidiscono oramai poco anche i latrati degli sciacalli che
già ti girano attorno. Dalla misera combriccola governativa chi ti escluse
dal Comitato Nazionale di Bioetica agli ulivisti commossi che solo 10 mesi fa
schifavano il tuo nome. Dal Tg1 che ha messo la notizia della tua scomparsa
dopo il tabaccaio armato, la Rom milanese, persino dopo le previsioni del tempo;
al Tg5, che ha relegato il nuovo "eroe morto" in pochi secondi dopo
la solita, squallida cronaca. Continui segni che in questo paese, molto più
malato di te, stampa e tv sembra si rivolgano a due popoli diversi.
"La forza è fondamentale per una battaglia per la quale i benefici
verranno raccolti non da noi, ma probabilmente dalla prossima generazione e
quindi è una battaglia che va condotta guardando molto lontano".
Ed allora oggi, come ieri, siamo qui vicino a te, tristi, ma sereni per salutarti
e darti, e darci quella forza che non ti deluderà, con cui stai di nuovo
correndo per la libertà. Qui, nella piazza della tua Orvieto, libera,
pagana, laica. Per gridare con te: libertà di pensiero, libertà
di ricerca, libertà per i medici, libertà per i malati, libertà
di non soffrire, libertà di poter morire, libertà di poter nascere,
libertà di poter amare.