Pubblicato il 23 aprile 2008 su La Voce di Romagna
in prima pagina
di Simone Mariotti
Lo scorso settembre, quando si discuteva la legge finanziaria
del governo Prodi, Luca Paolazzi, storico economista e commentatore del Sole
24 Ore, oggi direttore del centro studi di Confindustria (non certo una roccaforte
della sinistra comunista), scrisse un interessante articolo a proposito del
carattere demagogico con cui in Italia venivano intese le misure di sostegno
alle famiglie.
Lo voglio riproporre oggi perché la strada indicata dal buon senso delle
sue osservazioni potrebbe non essere imboccata neanche dal nuovo esecutivo,
e sarà interessante fare in futuro un confronto.
Paolazzi mesi fa portava ad esempio tre situazioni che in qualche modo sono
ancora oggi al centro del dibattito politico. Si partiva con le pensioni.
"L'aumento delle pensioni basse deciso dal Governo Prodi (e analogamente
quello varato dall'Esecutivo Berlusconi) ha come unici requisiti l'età
anagrafica, l'anzianità contributiva e il reddito dichiarato; ma nessuno
si è peritato di andare a indagare la corrispondenza tra quest'ultimo
dato e la reale condizione familiare. Né tra gli ex lavoratori dipendenti
né tra gli ex autonomi; questi ultimi rappresentano oltre un terzo della
platea dei beneficiari ed è legittimo qualche sospetto in più
sulla loro dichiarazione dei redditi come indicatore di benessere effettivo.
Ma l'importante sul piano mediatico è affermare che si aiutano i vecchietti
(pardon, gli anziani) in difficoltà (e perché non altri cittadini
poveri, indipendentemente dall'età?)".
Poi fu la volta dell'ICI, che fu già soppressa al 40% dal governo Prodi.
"La riduzione dell'ICI sulla prima casa, che probabilmente verrà
inserita in Finanziaria, riguarderà tutti i proprietari a prescindere
dal loro reddito (anche chi guadagna milioni di euro l'anno). Mentre, come hanno
rilevato una recente ricerca della Banca d'Italia ("L'accesso all'abitazione
in Italia", di Giovanni d'Alessio e Romina Gambacorta, luglio 2007) e l'audizione
del presidente dell'Istat, Luigi Biggeri, sul Dpef (sempre luglio 2007), la
maggior parte dei poveri rientra in quel 17,7% di famiglie che vivono in abitazioni
prese in affitto. Le quali sono state penalizzate dall'aumento dei prezzi delle
case sia perché non hanno ottenuto i relativi incrementi di ricchezza
sia perché i canoni sono aumentati. (...) Ma politicamente l'importante
è effettuare un taglio alle imposte che sia visibile (190 euro risparmiati
in due rate si percepiscono di più che un equivalente calo dell'Irpef
distribuito su 13 mensilità)". Aggiungo io a posteriori che la detrazione
fiscale per gli affittuari che è stata poi introdotta non è garantita,
ma legata, come giusto, alla presenza di bassi livelli di reddito, criterio
invece assente per il taglio dell'ICI.
Il terzo esempio era un caso di bonus alle famiglie.
"A Milano la maggioranza di centro-destra ha da poco introdotto un bonus
libri di 200 euro per ogni bambino che inizia la scuola media. Senza alcun vincolo
di reddito. La priorità politica di una simile assenza di selezione censuaria
non è evidente, visto che invece per il buono bebè introdotto
con lo stesso provvedimento (500 euro alle mamme che restano a casa dal lavoro
nel primo anno di vita del figlio) il reddito annuo deve essere inferiore a
18mila euro".
Paolazzi terminava con un paio di considerazioni che credo difficilmente non
possano essere condivise: "distinguere e aiutare i veri poveri non è
né di destra né di sinistra. Qualunque conservatore inglese o
repubblicano negli Usa, anche il più estremista, seguirebbe una politica
attenta e mirata in questo campo. Se non altro per ridurne il costo a carico
dello Stato. L'anomala indiscriminatezza italiana ha invece a che fare con l'inefficienza
della pubblica amministrazione e, a monte, la miopia della politica (che decide
come opera la macchina pubblica). Ma i cittadini si accorgono perfettamente
di queste assurdità e giustamente le vivono come sperequazioni. Che,
a differenza della buona e della cattiva sorte, hanno responsabili con nomi
e cognomi. Tutto ciò diffonde senso di ingiustizia e sfiducia in chi
governa ed è di ostacolo al diffondersi del merito (in senso lato: solo
chi ha davvero bisogno è meritevole di aiuto) come criterio per attribuire
benefici".
Perché in questo paese si fa sempre fatica a varare misure eque? E se
Paolazzi ha ragione da vendere nel dubitare di molte dichiarazioni di lavoratori
autonomi, si continua in modo ugualmente sbagliato a considerare questi ultimi
come fossero una massa uniforme di privilegiati. Come se uno dei tanti piccoli
commercianti che hanno chiuso negli ultimi anni fosse sereno come un Notaio;
come se un promotore finanziario (categoria letteralmente decimata negli ultimi
anni dalle ripetute crisi di mercato) se la passi bene quanto un avvocato con
uno studio avviato, o se un artigiano che vuole aprire bottega ed un medico
specialista di una clinica privata vivano nello stesso pianeta. Può anche
essere, ma stabilirlo per legge crea notevoli distorsioni, perlomeno in un sistema
come il nostro così sbilanciato solo sulla tutela del lavoro dipendente;
tutela che ha finito per trasformarsi nella nota e dannosa rigidità del
mercato del lavoro italiano.
Riuscirà il nuovo governo a ridurre i carichi fiscali, mantenendo però
un occhio alla realtà, nello stesso modo in cui andrebbe cambiato il
sistema dei finanziamenti a pioggia, buoni solo ad ingrassare le tasche dei
soliti furbetti?