Dialogo con un azionista olandese del Seicento - prima parte
Pubblicato il 13 febbraio 2008 su La Voce di Romagna in prima pagina

di Simone Mariotti

Per sfuggire all'Inquisizione del diciassettesimo secolo, dopo aver vissuto in Portogallo, un ebreo convertito (un marrano) un po' mercante un po' letterato, Joseph Penso de la Vega, si rifugiò nella prosperosa e più libera Olanda del Seicento. Il suo nome è sconosciuto ai più, ma fu l'autore, nel 1688, del primo vero saggio sul mercato azionario della storia. Un saggio che ancora oggi strabilia per la sua capacità di riuscire a descrivere, dopo più di 300 anni, non solo i meccanismi del mercato, ma anche la psicologia degli operatori, le loro manie, le loro illusioni. E quasi tutte le più grandi verità finanziarie che contano, valide più che mai ancora oggi, sono contenute in questa opera dal titolo più che azzeccato: "Confusion de Confusiones". L'originale è un dialogo tra un mercante, un filosofo e un azionista. Io mi sono sostituito al mercante e al filosofo, immaginando un dialogo con l'azionista (le sue parole sono prese integralmente dal testo originale) per un confronto tra il mondo di ieri e quello di oggi. Per scoprire che, in effetti, quasi nulla è cambiato.

Illustre Azionista, giungo ora da un futuro lontano, dove ho lasciato i mercati in balia della frenesia. Ad ogni qualsiasi notizia il mercato saliva e scendeva come senza ragione, e tanti rimpianti circolavano tra gli azionisti a causa della movimentazione senza fine dei titoli, anche in questi tuoi tempi è cosi?
Anche ai miei tempi. Lo spiegai ad un filosofo tempo fa che poi mi disse: "E' vero. Ora mi pavoneggiavo della mia potenza, ora piangevo miseria; e alla fine vidi, perfino in sogno, con quanta ragione affermaste ieri che fu il re della Furia a inventare questo intreccio, perché persino nei deliri dell'immaginazione mi incollerivo per non avere comperato vedendo che salivano e mi incollerivo per non aver venduto vedendo che scendevano".
Ci son però quelli che pensano che impegnandosi a commerciare dalla mattina alla sera sui titoli si possa riuscire a prevedere il loro futuro, anche se pochi ci riescono, e quasi sempre per pura fortuna, perché alla fine per ogni titolo che indovinano un'altro lo sbagliano.
Infatti le azioni si fan vanto di avere qualcosa di divino: ché quanto più ci si discute sopra, tanto meno le si capisce, e quanto più si usano, più ci si inganna.
Quindi in 300 anni non è cambiato nulla? Però ai miei tempi abbiano molte fonti di informazioni. Guardiamo alla Cina e al suo sviluppo, all'India, alla situazione economica americana (che per noi è il mercato più grande, un po' com'è l'Europa per te oggi). Ma forse per voi è diverso, forse siete meno informati, o non guardate a queste cose...
Ti interrompo amico, perché devi sapere che i movimenti delle azioni non sono senza fondamento e ragione. Sono tre le cause che spingono le azioni a salire e scendere: lo stato dell'India, la situazione dell'Europa, e il gioco degli azionisti. E pur possedendo queste informazioni, non è saggio farvi troppo affidamento, perché, se l'azionista cercherà di raccattare più di quel che può reggere, beffandosi del consiglio di Seneca di non fare la tavola più grande del ventre, sarà inevitabile che soccomba sotto il peso e che scivoli dalle sue spalle, che non sono quelle di Atlante, il mondo.
Ti devo dare ancora ragione, caro azionista. Non ti sorprenderà infatti sapere che anche nel 21° secolo c'è chi si ubriaca di informazioni arrivando a credere d'essere Alante, o persino Giove, agendo di conseguenza senza però accorgersi che le sue informazioni sono le stesse che hanno tutti gli altri azionisti del mondo. E soprattutto pensano che siano quelle le uniche importanti a definire il prezzo di un'azione. Ma se le notizie dall'India dicono che va bene, che cresce, mi chiedo: perché non comperare?
Poniamo allora che le notizie siano buone e vereconde e che chi le richiede le riceva in un tempo utile...
E' vero, potrebbero essere tardive! Ma chi si comporta credendosi Atlante... continua, scusa...
...servirà ancora, dicevo, che le navi arrivino senza problemi, e che, dal ricevimento delle notizie alla partenza, non sopravvenga alcun incidente che possa offuscare tutto questo sfarzo e smentire tutta questa felicità, poiché assai spesso abbiamo visto annichilirsi le speranze e le navi affondare in vista del porto.
Ma pure concesso che tutto ciò che riguarda l'India vada a buon fine, ancora v'è da considerare quale sia la situazione in Europa (America ai tuoi tempi): se vi saranno eserciti che ci arrecano preoccupazione, se vi siano alleanze che ci procurano timore. Per questo abbiamo visto in molti casi certi azionisti comperare per le notizie giunte dall'India e altri vendere per la confusione in Europa, che a causa sua non v'è speranza del guadagno, mentre crescono le spese per via della tasse.
E' incredibile! Pare tu stia descrivendo il mio mondo. Alcuni allora sostengono che sia meglio seguire il mercato, senza cercare di batterlo. Ma ciò è sufficiente?
Ad evitare di perdere no, perché succede che, così come ci sono speculatori che comprano, ci sono anche speculatori che vendono, e pertanto non può esservi sempre conseguenza infallibile né giudizio indubitabile.
Io però non mi fido ad andare alla cieca, come sembra essere il tuo suggerimento.
E' che le azioni, anche per l'ingegno più spassionato, se si vedono con gli occhi del compratore, sembra stiano precipitando, se con gli occhi del venditore sembra che salgano.
Un nuova scienza dei miei tempi, la psicologia, sostiene proprio quello che tu dici, e cioè che ci si rifiuta di vedere la realtà per quello che è, e che si cercano giustificazioni continue e fittizie al nostro agire. La chiamano "dissonanza cognitiva". E anche per questo, forse, anche nel mio secolo, chi ha azioni in perdita che non salgono e vorrebbe vendere, non si libera dei titoli perché li vede in rialzo, sperando di porre rimedio all'errore fatto.
Mercoledì prossimo la seconda e ultima parte








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