Pubblicato il 9 gennaio 2008 su La Voce di Romagna
in prima pagina
di Simone Mariotti
La folla che incontri per strada in questi giorni, finite le
feste, è tornata ad essere quella di sempre. Un po' menefreghista, disinteressata,
pensierosa, anche radiosa. Guardarla mi affascina spesso, non la folla scalmanata,
ma solo quella che si fa i fatti suoi. Ad osservarla, a voler leggere nei suoi
volti si impara molto.
Ricordo una delle pagine più belle di Achille Campanile, dedicata alla
folla, una di quelle volte che giocava con noi a metà tra umorismo e
malinconia. In quel mucchietto di pensieri che è la sua "Cantilena
all'angolo della strada" scrisse:
"Camminavo per le strade come un automa e mi pareva che tutto fosse diverso
dagli altri giorni, che io fossi un estraneo nel mondo che circolava e che tutti
dovessero accorgersi che io ero sotto il colpo della tremenda sventura e segnarmi
a dito. Invece nessuno s'accorse di nulla. La gente mi passava vicino, mi sfiorava,
mi vedeva o non mi vedeva, ma tutti erano indifferenti e andavano per i loro
affari.
Allora capii che nella folla ci sono quelli che hanno pensieri tristissimi e
nessuno se ne accorge. Sembra che tutti vadano lo stesso, ma ognuno va per una
ragione e molti hanno una ragione dolorosissima. Certe volte un'automobile sfiora
un passante e il guidatore grida: scostati, animale, non ci vedi?
Forse quel tale aveva un pensiero tristissimo. Chi sa dove andava sotto i lumi
scintillanti nel via vai della folla piena di vita? Può darsi, come me
quella sera, a ordinare una bara per la madre."
E a volte persi nella folla si sta bene.
Quest'anno sono vent'anni che ho perso la mia di madre, e guardando al tempo
che è trascorso mi sono accorto di quanto ancora ricordi bene, distinguendoli
dagli altri, gli ultimi momenti veramente felici trascorsi a casa con lei, spensierati,
proprio durante quel Natale di venti anni fa.
Un po' forse anche la televisione si è fermata lì, a quel fenomeno
di massa che fu "Indietro tutta", a quella volta che la folla degli
italiani restò ipnotizzata attorno al video unita come più non
lo sarebbe stata. Fu un apice della comunicazione. Vennero sbugiardati i dati
Auditel, che attribuivano al programma percentuali buone, sì, ma lontane
anni luce dalla reale penetrazione di quell'ora di tv capace di prendere allegramente
per i fondelli con campanilesca abilità l'intero circo televisivo, anticipandone
gli sviluppi futuri più deleteri, dai ridicoli presentatori tuttofare,
al tormentone di sponsor e televendite (che sarebbe letteralmente esploso nel
decennio successivo), all'acutissima percezione di quello che sarebbe diventato
il fenomeno ossessivo delle veline con lo sberleffo delle fenomenali "ragazze
coccodè".
Dopo anni di malattia, quel Natale c'era più voglia di vita e di risate
rispetto al passato: "guarigione completa", dissero i medici parigini.
Ma proprio dopo cinque mesi... che ironia. La stessa di quelle sere tra Natale
e Carnevale, leggere e senza pensieri, in compagnia del "nuovo focolare",
come lo cantava Arbore nella sigla, mentre quello vero, acceso poco più
in là, scoppiettava sin quasi a mezzanotte, quando assieme si spegnevano.
Ricordo bene, qualche mese dopo, anche momenti più tristi. Quando morì
Enzo Tortora, pochi giorni prima di lei, mi disse: "Abbiamo iniziato a
soffrire assieme..." non finì la frase, ed era un giorno molto lontano
da quelle sere di Natale, sereni, uniti, tra noi, al resto della folla.
