Quando a Rimini c'erano gli Squalos
Pubblicato il 17 ottobre 2005 su La Voce di Romagna e riproposto il 31 marzo 2014, in occasione della pubblicazione di una poesia di Giuliano Bonizzato a me dedicata, che potete leggere qui

di Simone Mariotti

"C'è perfino chi teme gli squali!"
Con queste parole qualche giorno fa Giuliano Bonizzato, ha un po' ridicolizzato la flemmatica reticenza con la quale i giovani d'oggi affrontano le onde del mare. Le ragioni non c'è che dire sono tutte dalla sua parte, ma quella frase, detta da lui, mi da la possibilità di cogliere la palla al balzo per sfornare un'invettiva pro-nuoto e svelare, al tempo stesso, la piccola citazione subliminale che si nasconde nelle parole dell'avvocato.
In effetti, molti anni fa, il "pericolo squali" angosciava la riviera. Pardon: il pericolo "SQUALOS"!
Il nostro "cronista malatestiano d'altura" oltre che del famigerato "Disarmo di San Marino" (ma questa, come si dice, è un'altra storia), si è macchiato di alcuni "crimini" che pochi ancora ricordano. Io però sono tra questi, e sono pronto a dire tutta la verità! Iniziamo dal principio.
Alla metà degli anni settanta, o giù di lì, un gruppo di ragazzini, ancora semi-analfabeti per ovvie ragioni d'età, ma tutti particolarmente belli e quasi coetanei, affollavano con i loro genitori i pochi metri quadrati di una spiaggia che aveva meno fronzoli di oggi, ma che forse aveva più cuore.
Mia mamma mi ci aveva portato la prima volta nel '75, insieme a mia sorella, che però con i suoi due anni abbondanti ancora non poteva apprezzare in pieno tutti i piaceri dell'acqua.
Si camminava con i secchielli sulla riva facendo attenzione, allora si, a non pestare le vongolette semiaperte, i cannelli o i granchi che, vivi o morti che fossero, davano un tocco selvaggio alla battigia.
Un signore piuttosto corpulento si aggirava tra quegli ombrelloni in fondo alla passerella del bagno 20 (allora "Oltremare", nome profetico), a destra, dove si radunavano sette, otto, dieci famiglie di amici. Non ricordo bene il numero, ed anche i nomi, tranne alcuni, si sono un po' persi con gli anni. Quel signore però lo ricordo bene.
Aveva iniziato i bambini che gli gironzolavano attorno su quella spiaggia ai piaceri dell'acqua e del nuoto, e li portava lontano, fino ad arrivare "là dove non si tocca". Si era creato un piccolo "club", aperto a tutti, in cui questi piccoli nuotatori si trasformavano nei terribili "Squalos". Anche chi non ha il fiuto del tenente Colombo avrà capito che il pesce più grande non era altri che il nostro Giuliano Bonizzato.
I due figli dell'avvocato (ma la Claudia era la più agguerrita) guidavano le fila del branco, e tutti gli altri, 3, 4 o 5 a seconda del momento, seguivano la scia.
Era un modo per far vivere ai ragazzini, senza troppi pericoli, i primi brividi dell'acqua alta, lenendo al tempo stesso le apprensioni delle mamme che sapevano che, in caso di stanchezza, i bimbi si aggrappavano alle "pinne" del loro squalo nutrice che, dopo aver emesso un grido oceanico: "ZATTERONE", si girava a morto chiamando tutti a rapporto, per una pausa ristoratrice in attesa della successiva missione.
Uno degli obiettivi preferiti erano i mosconi con dolci donzelle appartate al largo per intimi bagni di sole. Gli Squalos senza troppi complimenti "abbordavano" il natante scatenando il panico nelle malcapitate. Un giorno, una di queste fanciulle, osservando la curiosa scena che si svolgeva sotto i suoi occhi, disse all'avvocato: "Sono tutti figli suoi?" E lui pronto: "Certamente, non vede come mi somigliano?". E lei: "Ma scusi, lei e sua moglie, la televisione, la sera, non la guardate mai?"
Finita la battuta di caccia si tornava euforici a riva magari pronti per una partita a biglie, ma di quelle belle, grandi e trasparenti, con dentro le facce dei ciclisti, o una battaglia con i soldatini tra le dune di sabbia. Ma già si assaporava il momento del magico "secondo bagno", quello pomeridiano, rigorosamente 3 ore dopo il pranzo.
Ho "solo" 35 anni, ma quello che racconto, richiamato da Giuliano Bonizzato lunedì scorso, sembra veramente preistoria.
Molti giovani, non tutti ovviamente, non amano più il mare. E' un po', come dice lui, in parte dovuto alla congenita pigrizia della modernità, ma è anche la mancanza di fantasia, di spirito d'avventura, di capacità di respirare nell'onda, senza bisogno di essere dei fenomeni.
Per i più grandi è anche una conseguenza del killeraggio che il beach volley prima e il beach tennis poi hanno operato sulla mente dei giovanotti rivieraschi, drogati, se vogliamo, di questi sport ancora più che del calcio. E' lì che si cucca oggi, che ci si mette in mostra, belli pompati; perché sparire anonimamente tra le onde?
Il mio è un discorso di parte lo so, ma che cosa ci volete fare! Ho passato anni e anni in mare, tra le boe e i mosconi, quasi sempre in solitaria, mentre i miei amici palleggiavano dietro le cabine.
Gli Squalos, di cui io in realtà feci parte solo marginalmente, restano qualcosa che ha trasmesso il piacere del mare a un piccolo gruppo di ragazzini.
Io nel nascendo club dei nuotatori d'altura sponsorizzato da Giulano potrò fare al massimo la mascotte, anche perché, non temendo i "pericoli" del mare, non temo neanche quelli della piscina, dentro la quale mi adagio un po' troppo spesso.
Ma sarebbe ora di pensare a qualcosa che faccia tornare la voglia di vivere nel mare, a qualcosa che non sia solo un semplice piano "spiaggia", dagli zatteroni alle piattaforme, alle altalene dentro l'acqua (che ho fatto in tempo a vedere anch'io), ai trampolini. Cose che oramai sono un ricordo solo di mio padre e di quelli della sua generazione.
Gibo, ha fatto la sua parte a modo suo, e pare voglia andare avanti, ora però tocca a noi.
Qualcuno, che a volte lui neanche riconosce, ancora lo ferma per la strada "accusandolo": "Avvocato, io sono stato un suo Squalos".
Sono "turbe" che non si dimenticano, che ti segnano, che ti regalano per sempre il gusto del mare, quello vero.



La Voce di Romagna, 17 ottobre 2005





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