Pubblicato
il 16 novembre 2007 La Voce di Romagna a pagina 34
di Simone Mariotti
Nei primi decenni del Novecento, dopo la Grande Guerra,
in un momento in cui forse si sentiva il bisogno di ridere più che in
altri tempi, quando era facile trovare in ogni parte d'Italia una rivista
umoristica dove si "palestravano" futuri artisti, dal Marc'Aurelio al
Bertoldo, dal Travaso al nostro Goliardo di "cosmica" memoria, in un momento
in cui anche la caricatura, grazie ai grandi di allora come Nino Za (indimenticabile
la sua "Greta Garbo con lo sguardo da preside"), raggiunse lo status di
arte nobile, ... insomma in un momento di allegria necessaria, almeno
sulla carta stampata, la definizione di umorista poteva anche andare stretta
a chi era in effetti qualcosa di più complesso, di più eclettico, di fuori
dal comune.
Fu forse per questo Achille Campanile quasi rifiutava l'etichetta di "semplice"
umorista; proprio lui, che da molti, me compreso, è considerato il più
originale e straordinario degli umoristi, non solo italiani.
E l'umorismo,
benché stupidamente e continuamente snobbato dalle storie della letteratura,
ha invece sempre rappresentato un tipo di cultura indipendente e coraggiosamente
irriverente, alternativa. Ed in Italia, come ricordava anche un attento
osservatore della letteratura internazionale come Oreste del Buono, "l'umorismo
è stato durante il ventennio cosiddetto nero uno dei pochi movimenti culturali,
inconsapevolmente o consapevolmente, non del tutto arreso alla retorica
di regime". E Fellini era uno dei pochi testimoni del tempo che se n'era
accorto.
Ma oggi, che fine ha fatto quella scuola? Dove sono finiti gli umoristi
veri? Non i "satiri", oramai solo televisivi; non le "matite", oramai
solo ispirate dalla politica. No, dove sono quelli che scrivono per davvero,
con eleganza, con poca pietà per i malcapitati che non riescono a staccare
gli occhi dalle pagine di un loro volumetto?
E cos'è diventato oggi l'umorista? Cosa produce? Che ne è stato di Serenello,
di Tancredi, del signor Gianni Gianni? E soprattutto che ne è stato degli
asparagi? Avevano o no qualcosa a che fare che con l'immortalità dell'anima?
E le Saraghine? Ah, le Saraghine...!
Non so quanti di voi sono riusciti a cogliere tutti i riferimenti, forse
bisognerebbe essere cresciuti come me leggendo romanzi come "Agosto moglie
mia non ti conosco", o le epiche "Tragedie in due battute". Ma il mondo
di Achille Campanile è stato questo, fatto di frasi metafisiche, improvvise,
mozzafiato, taglienti e tagliate, futuriste.
E se oggi qualcuno ne parla ancora, lo mette in scena o, soprattutto,
come ne caso di oggi, a lui si ispira è giusto celebrarlo.
Ed allora, a trent'anni dalla sua morte, un romagnolo degno erede del
suo maestro spirituale, a lui dedica il suo ultimo irresistibile lavoro.
"Le Saraghine e l'immortalità dell'anima" è il nuovo
libro scritto da Giuliano Bonizzato e che da domani sino a Natale i nostri
lettori troveranno abbinato al giornale, a richiesta, a soli 7€.
Giuliano (Gibo), che i lettori de "La Voce di Romagna" conoscono bene
da anni nella veste di ineffabile "cronista malatestiano", meglio di ogni
altro ha raccolto lo spirito che fu di Campanile e la sua voglia di raccontare
pezzi di vita, politica, burle al bar, goliardate, commozioni vere e umane
e fenomenali fiondate ironiche, ma sferzate con la sua disincantata serenità
di sempre, persino quando affronta, vittorioso, niente meno che il biblico
Deuteronomio.
Con Bonizzato scopriamo che c'è rimasto ancora qualcuno che conserva il
piacere di raccontare cosa vuol dire "impoppirsi", che con Fred ci fa
vivere un'altra "notte all'Embassy/ trascorsa in un sospir",
che osserva sconsolato come la Play Station abbia rubato ai bambini il
gusto di sognare con i veri eroi, e che il mondo, lì, in quella parte
segreta della fantasia, si è fermato a Flash Gordon. Lo capì anche Lucas
e ci fece su Guerre Stellari.
Non mancano le riflessioni più intense, sulla "Romagna sazia e nichilista"
o sull'"Alma Mater e i suoi figlioletti" che il campanilismo romagnolo
non vuol far diventare grandi.
Poi arriva la sofferenza sincera di colei che chiameremo Maria, il "Complesso
Pelagico" e quelle straordinarie "Suore inglesi" che tanto avrebbero da
insegnare ai nostri "sindaci romagnoli". E cos'è già che chiedeva quel
turista tedesco? Mi pare dicesse... "Essere cvesto plancton o merta?".
Insomma, Giuliano ci racconta un universo, il nostro, così, in modo graffiante,
inaspettato e raffinato. Eccole, allora, queste 39 Saraghine uscite dalla
penna di Gibo e passate attraverso il mondo di Achille. Trentanove poemetti,
pensieri, raccontini, o meglio trentanove colpi di "campanile", brevi,
ma uno più forte dell'altro, che si sentiranno in tutta la Romagna, da
gustare uno al giorno sino a Natale.
Ma per scoprire tutti i segreti del fenomenale rapporto tra "Le Saraghine
e l'immortalità dell'anima" dovrete avventurarvi tra le pagine del libro
di Giuliano Bonizzato. Io invece vi svelo senza pudore lo straordinario
risultato cui giunse Campanile nella sua "ricerca filosofica":
"Per concludere e terminarla con un'indagine che la mancanza di idonei
risultati rende quanto mai penosa, dobbiamo dire che, da qualunque parte
si esamini la questione, non c'è nulla in comune fra gli asparagi e l'immortalità
dell'anima".
Buone "Saraghine" a tutti.