Pubblicato il 7 novembre 2007 su La Voce di Romagna
in prima pagina
di Simone Mariotti
Due anni fa la rivista americana "Rolling Stone",
una specie di istituzione in fatto di musica e cultura moderna, interpellò
quasi 300 tra artisti, critici, discografici e sperimentatori di musica rock
di ogni età e genere per stilare due classifiche volte a stabilire le
500 più belle canzoni di ogni tempo e i 500 migliori album di sempre
(riferite alla musica in lingua inglese).
Non commento i risultati di posizione, ma rilevo un dato. Se ci limitiamo ai
primi 200 posti di entrambe le classifiche, le canzoni o gli album con meno
di 30 anni si contavano sulla punta delle dita. E quando ne avevano meno di
30 voleva dire che ne avevano 20 o 25. Gli anni sessanta e settanta invece spopolavano.
Se pensiamo al cinema, la situazione non cambia di molto. La creatività
del grande schermo è sostanzialmente morta da tempo. Si fanno ancora
piacevoli pellicole, con qualche perla ogni tanto, certo, ma da un paio decenni
abbondanti si scopiazza in modo più o meno riuscito quello che è
già stato fatto (e che magari è stato dimenticato). In altri campi
artistici siamo messi ancora peggio.
Architettura ed ingegneria estrema se la cavano grazie alla tecnologia, ma i
progetti faraonici sono figli del passato e l'edificio più alto di NY
è stato costruito nel 1931.
In generale in campo creativo, più o meno in tutte le sue declinazioni,
non riusciamo a staccarci dal passato. Ci siamo fermati agli anni settanta.
Ci siamo incagliati, scioccati. Forse anche nel modo di pensare il mondo, di
credere possibili certi cambiamenti. Persino le conquiste più innovative
dell'informatica e della telefonia mobile (le due stelle della modernità)
sono evoluzioni di intuizioni sbocciate tra a fine degli anni sessanta e i primi
settanta.
Quanto ci vorrà per avere un altro Buddy Holly? Magari si reincarnasse
in un politico riminese, che da sempre è la figura più arida di
creatività al mondo!
Volo pindarico (in parte).
Dagli anni settanta ci siamo anche incagliati sul petrolio, forse per colpa
del doppio shock che gli arabi ci rifilarono allora.
Invece di iniziare a reagire, a pensare diverso, a ricercare fonti alternative
e modi più intelligenti di utilizzare l'energia (per esempio non riempiendo
ogni cosa di led inutili), abbiamo ragionato come se l'oro nero fosse una certezza
disponibile sempre a prezzi più o meno affrontabili, come se il mondo
non avesse più potuto cambiare.
Alcuni mesi fa ebbi un interessante scambio di e.mail con Leonardo Maugeri,
il direttore delle strategie di sviluppo dell'ENI, uno dei massimi esperti energetici
d'Italia, cui avevo chiesto due cose: a che punto era la ricerca della compagnia
sui biocarburanti, compresa la cannabis, e cosa rispondeva alle accuse di lobby
anti energie rinnovabili rivolte alle grandi compagnie petrolifere, un'argomentazione
di un certo mondo ambientalista che mi convinceva sempre meno. Maugeri mi scrisse:
"BIOCARBURANTI: stiamo facendo studiare in parallelo a
più università internazionali e a una italiana (per avere una
contro-verifica incrociata sui risultati) il rendimento energetico dell'olio
vegetale e delle varie colture. Al momento la cannabis non risulta particolarmente
ben messa rispetto, per esempio, all'olio di palma. Naturalmente, i rendimenti
delle microalghe risultano di gran lunga superiori a tutto il resto.
RUOLO DI FRENO DELLE MAJORS: la teoria del complotto - applicata a un settore
come il nostro - è molto seducente e accattivante, e forse anche plausibile.
Ma è semplicemente falsa. Se lei pensa che oggi le prime sette sorelle
del petrolio occidentali controllano il 4% delle riserve mondiali di greggio,
che quasi il 90% di queste è stabilmente nelle mani dei paesi produttori,
e che per noi il grande problema del futuro è quello di sopravvivere
come produttori di petrolio, capirà che se avessimo un'opportunità
dietro l'angolo (una rinnovabile, per esempio) non esiteremo a lanciarci "a
coltello" nel suo sviluppo. Lo stesso vale per molte imprese occidentali
non petrolifere, che tuttavia sono giganti nel loro campo. Pensi a quali interessi
potrebbe avere - per esempio - una Monsanto nello sviluppo dei biocarburanti,
se solo esistesse la formula che li rendesse effettivamente una soluzione. Il
problema, come argomentavo nell'articolo di ieri, è che dopo decenni
e decenni di ricerca e forti investimenti (l'opinione pubblica e anche i decision
makers non sanno, o tendono a sottovalutare il fatto che - in realtà
- nel corso dei decenni nella ricerca scientifica sulle rinnovabili si sono
investiti miliardi e miliardi di dollari pubblici e privati), ci sono stati
scarsi risultati. Pensi solo ai giapponesi, che pure non sono produttori né
di petrolio né di gas...
Non so se sono riuscito a fare il punto, avendo così poco tempo. Spero
almeno di averle dato spunti di riflessione aggiuntiva che possano contribuire
a considerare altri punti di visuale del problema".
Studi economici hanno calcolato che la ricerca e gli investimenti
in fonti alternative sono convenienti con il prezzo del petrolio stabilmente
superiore a 50 dollari. Sotto i 50 dollari nulla può batterlo. Oggi siamo
oramai a 100 dollari. E' vero che, come dice Maugeri, ci sono grandi potenze
economiche che non hanno interessi petroliferi e che non sono ancora riuscite
nell'impresa di superare il petrolio. Ma forse, anche, non riusciamo a cambiare
il nostro modo di vivere, di affrontare certe emergenze, di stabilire le giuste
priorità nella ricerca.
Forse ci vorrebbe un po' più di creatività, ma, come visto, siamo
fermi a 30 anni fa.