Pubblicato il 19 settembre 2007 su La Voce di Romagna
in prima pagina
di Simone Mariotti
Da più parti si è detto che il trambusto portato
dalla la crisi dei mutui sui mercati finanziari è stato in parte il frutto
di una sostanziale ignoranza finanziaria. In pratica si è sottovalutato
il rischio e ci si è affidati ad una serie di luoghi comuni della finanza
(non solo sui mutui), che accumulati uno sull'altro hanno creato negli anni
un castello se non di carte, di pongo, che ogni tanto perde qualche pezzo.
Oggi ci terrà compagnia uno dei massimi esperti della finanza moderna,
William Sharpe, che assieme a Harry Marcowitz, fu il primo economista a ricevere
il premio Nobel per degli studi sulla finanza. Tra i tanti suoi contributi ne
ho selezionati un paio che sono facilmente applicabili alla vita dell'investitore
comune ed ai luoghi comuni nel quale esso spesso cade. L'economista americano
è celebre presso il grande pubblico grazie alla popolarità del
suo indice di Sharpe usato per la valutazione di un portafoglio, indice che
ha passato i 40 anni senza che la sua autorevolezza ed efficacia venisse intaccata.
In un suo articolo del 1998, pubblicato sul Financial Analysts
Journal, Sharpe scrisse
"Quando valutate la desiderabilità di un fondo all'interno di un
portafoglio multifondo, la misura rilevante di rischio è il contributo
che il fondo dà al rischio totale di portafoglio. Questo contributo dipenderà
dal rischio totale del fondo e, cosa molto più importante nella maggior
parte dei casi, dalla sua correlazione con gli altri fondi in portafoglio. Né
la misura di Morningstar né l'indice di Sharpe incorporano alcuna informazione
sulla correlazione. Quindi un eccessivo affidamento ad entrambe queste misure
nel selezionare i fondi può seriamente diminuire l'efficacia del portafoglio
risultante. (…). Usare qualsiasi procedura di classificazione dei fondi
all'interno di categorie separate e quindi selezionare i fondi da ogni gruppo
sulla base delle classifiche è probabilmente sub-ottimale. In alcuni
casi tale sistema risulterà fortemente sub-ottimale".
Questo in teoria. In Europa, e soprattutto in Italia, accade tutt'altro. Il
nostro paese è diventato il regno delle stellette e del galloni appioppati
a fondi comuni, società di gestione, fondi pensione, gestori, ecc., senza
però, ovviamente, alcun accenno alla reale significatività futura
di questi premi ed al modo in cui questi prodotti premiati per i risultati (del
passato!) andrebbero assimilati tra loro. Siamo invece bombardati con pubblicità
che reclamizzano fondi a 5 stelle o con eccellenti indici di Sharpe, o ancora
peggio, prodotti strutturati e vincolati che al loro interno contengono materiale
finanziario gallonato ed ovattato, spesso venduto attraverso il canale degli
sportelli bancari dove la scelta avviene in base al colore del depliant. Ed
i portafogli-insalata abbondano, con scarsa attenzione al rischio di alcuni
o ai costi e ai vincoli di altri.
Un altro fondamentale insegnamento, che ha grande rilevanza
anche e soprattutto per il settore dei fondi pensione, dove i tempi si allungano
all'estremo, è quello che riguarda il costo di gestione e l'opportunità
o meno di pagare qualcuno per una gestione attiva. Sharpe è un fautore
dell'indicizzazione, dato che per periodi lunghissimi anche un piccolo costo
in più all'anno si mangia una discreta porzione del risultato finale.
Però il mondo non è bianco o nero e se indicizzare a volte è
un bene altre volte lo è meno.
Ecco che allora un altro aiuto lo ricaviamo da un suo scritto del 2001 quando
intervenendo in un convegno del Monterey Institute of International Studies
(pubblicato nel magazine Portfolio Organizer nell'ottobre 2002), concluse dicendo:
"Lasciatemi concludere con una domanda ovvia: Dovrebbe un investitore fare
solo investimenti indicizzati? La risposta è un sonoro no. Infatti, se
tutti indicizzassero, il mercato dei capitali cesserebbe di produrre prezzi
efficienti per le attività quotate, quei prezzi che rendono l'indicizzare
una strategia interessante per alcuni investitori. Tutta la ricerca effettuata
dai gestori attivi tiene i prezzi vicini ai valori reali, valori che rendono
possibile a chi indicizza di comportarsi come un free-rider che non paga il
prezzo per avere quel valore. Quindi c'è un fragile equilibrio nel quale
alcuni investitori scelgono di indicizzare parte o tutto il loro denaro, mentre
gli altri continuano a cercare sul mercato azioni sottovalutate o sopravvalutate.
Dovreste indicizzare al limite un po' del vostro portafoglio? Questo dipende
da voi. Io suggerisco solo di considerare le opzioni. Nel lungo periodo questo
approccio noioso vi può dare del tempo per attività più
interessanti come la musica, l'arte, la letterature, lo sport e così
via. Ed è molto probabile che ciò vi lasci persino con più
soldi".
Sarà pretenzioso da parte mia, ma sono pienamente d'accordo. Compare
panieri di azioni e non toccarli è spesso la via migliore per aumentare
la ricchezza personale, sia quella monetaria, che soprattutto (per il tempo
libero che si guadagna) quella sociale. E perché così tanta gente
fatica ancora a comprendere che aver qualche decimo di punto di rendimento in
più (quello che si guadagna risparmiando sulla delega ad un gestore)
vale enormemente meno delle ore di tempo libero alternativo da dedicare, per
esempio, alla propria famiglia? Ne parleremo ancora la prossima settimana.