Come nasce un paradiso fiscale - seconda puntata

Pubblicato l'8 agosto 2007 su La Voce di Romagna in prima pagina

di Simone Mariotti

Come anticipato la settimana scorsa, è la natura stessa delle isole tropicali che si addice ad ospitare i centri finanziari off-shore. Ne è un esempio anche il Golfo Persico, dove, pur essendoci almeno altri tre piccoli stati, come il Quatar, il Kuvait, o uno dei sette piccoli emirati indipendenti che compongono gli Emirati Arabi Uniti, un grosso centro finanziario internazionale è sorto nell'unico, piccolo, stato insulare: il Bahrein. In questo caso, forse, si tratta di una coincidenza, magari dovuta più che all'insularità, alla piccola dimensione, nel tentativo, ben riuscito, di diversificare l'economia interna affiancando all'industria petrolifera i proventi nati dall'attività finanziaria internazionale.
In realtà l'associazione tra piccole isole tropicali e paradisi fiscali non è casuale. Bisogna andare indietro di qualche decennio per comprenderne il nesso, osservando come si sono evoluti i primi esempi, per capire come poi si siano moltiplicati. Ma spieghiamo prima come è nata l'associazione con le isole tropicali.
Una caratteristica quasi irrinunciabile di tutti i paradisi fiscali è un forte legame con l'industria turistica. Ed è proprio in questa direzione che va cercata la nascita di un sofisticato sistema di servizi finanziari nelle piccole isole. I Caraibi, in particolare, sono stati molto abili a sfruttare la loro posizione geografica, e la loro storia (mi riferisco al fatto di essere stati per molti decenni, e alcune isole lo sono ancora, domini coloniali, principalmente inglesi), per attrarre grandi investitori internazionali.
Molte isole sono state per lunghi periodi le residenze invernali di ricche famiglie americane, canadesi ed inglesi che, attratte dal clima e dalla vicinanza relativa con la madrepatria, vi costruirono abitazioni e vi stabilirono di conseguenza anche il centro dei propri affari facendo sorgere la domanda per adeguati servizi finanziari. La presenza di popolazioni che parlavano correntemente l'inglese aiutò questo sviluppo, così come fu, ed è, una componente importante, la presenza di infrastrutture che, necessaire al turismo, si dimostrarono molto utili per l'accoglienza di banche ed altri uffici.
Ciò non accadde solo ai Caraibi. Jersey, la maggiore delle Isole del Canale, attrasse un grosso numero di ricchi immigrati negli anni '50 e '60. Alcuni di essi erano inglesi espatriati che tornavano dalle colonie di quell'impero britannico che andava ormai frantumandosi. Jersey sembrava una piacevole alternativa alla vita nel Regno Unito, dato il clima più mite e soleggiato, e la bassa imposizione fiscale. Ed anche in tal caso, l'effetto di tale afflusso si notò soprattutto in un incremento della domanda di servizi finanziari sofisticati, nonché di professionisti quali avvocati, commercialisti, consulenti.
Da cosa nasce cosa; oggi, se gli svizzeri si vantano di essere i banchieri privati del mondo, Jersey si vanta di essere il banchiere privato della Svizzera. Da quando il Credit Suisse è sbarcato lì negli anni '80 tutti i principali grandi gruppi bancari svizzeri ne hanno seguito l'esempio, ed i loro depositi costituiscono oggi la gran parte di quelli presenti sull'isola.
E' sufficiente questo elemento di valutazione per capire come si presenti oggi Jersey agli occhi dell'Europa e del mondo: un grande paradiso fiscale inserito in un piccolo paradiso naturistico, con oltre 80 banche e 40.000 società registrate.
L'esperienza delle Cayman (insieme alle Bahamas e alle Bermuda una delle sedi storiche di attività finanziarie off-shore) e di altre isole caraibiche non è stata molto diversa da quella di Jersey. Anzi, in quest'area il governo britannico e quello olandese si sono prodigati incentivando la nascita di centri finanziari off-shore, nella speranza che tali attività rendessero maggiormente autonome le colonie riducendo la necessità di sussidi, trasferendo quindi su altri paesi (tramite la tassazione mancata in questi ultimi) il peso del mantenimento. Gli Stati Uniti si sono invece mossi in una direzione differente più orientata ad una repressione di tali attività, soprattutto attraverso sanzioni contro quegli stati che si rifiutano di collaborare nella lotta al narcotraffico e al riciclaggio del denaro sporco.
E' quindi improbabile un atteggiamento compiacente degli USA circa la possibilità di creare paradisi fiscali nelle proprie dipendenze come il Guam o le Samoa americane nel Pacifico, o le Isole Vergini nei Caraibi.
Ma la scelta delle Cayman&Co. si è rivelata vincente. Un alto funzionario inglese A. Worner, che aveva la carica di British Residency Information Officer per i Caraibi, disse in relazione alla creazione di centri finanziari nei paesi del Commonwealth: "un centro finanziario non occupa una grossa fetta di terreno, non inquina l'ambiente, e non interferisce con gli affari locali", e lo straordinario rapporto di una banca ogni 300 abitanti di Nassau sembra esserne una prova. Alla prossima settimana, con un altro po' di finanza tropicale.








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