Paradisi fiscali: tutto quello che c'è da sapere
Pubblicato il 1 agosto 2007 su La Voce di Romagna in prima pagina

di Simone Mariotti

Anni fa il vecchio presidente delle Seychelles dichiarò che chiunque fosse arrivato nell'arcipelago con almeno 10 milioni di dollari da investire nel paese sarebbe stato accolto a braccia aperte senza fare domande sulla provenienza del denaro, un po' come accadeva nella Tortuga dei Caraibi al tempo dei pirati del Seicento.
Più di recente il primo ministro di St. Vincentes e Grenadine, nelle Antille, diceva che quella che praticavano con le tasse era una semplice concorrenza fiscale con gli altri paesi occidentali, uno sport, per dirla con lui, che nulla aveva però a che fare con il riciclaggio ed altre brutte cose. Non gli hanno creduto in molti.
Come ogni agosto, anche quest'anno ho scelto un argomento che ci terrà compagnia per tutto il mese, e dal piccolo assaggio che ho appena dato avrete intuito che si parlerà di "finanzia tropicale", in cui largo spazio avranno, nelle prime tre puntate i paradisi fiscali. Come nascono e perché sono sempre associati a certe piccole isole paradisiache, ma non ad altre?
Bahamas, Barbados, Cook, Vanuatu! Quando si evocano i nomi di certi luoghi sperduti nel mondo, è spesso difficile distogliere l'attenzione del lettore, o dell'ascoltatore, da un clichè ufficiale che dipinge queste isole come terre incontaminate, inondate dal sole e popolate da persone amichevoli e felici. Non che questa sia una visione distorta delle realtà, o perlomeno non lo è in toto, è solo una parte della storia, una storia che per essere compresa va analizzata attentamente anche oltre quel quadro, al quale tutti siamo bene o male affezionati, di sorridenti ragazze polinesiane che, vestite di fiori, portano cesti di frutta tropicale ai nuovi venuti.
Non di rado il passato di molti arcipelaghi, specialmente nel Pacifico, è stato terribilmente violento. Sanguinose lotte intestine, che in alcuni casi portarono alla scomparsa di antiche civiltà, caratterizzarono Tahiti, Tonga, l'isola di Pasqua (forse l'esempio più drammatico di auto distruzione provocata dall'isolamento), la Micronesia. Alcuni popoli scomparirono prima dell'arrivo degli europei. Nell'isola micronesiana di Ponhpei (detta "la Venezia del Pacifico"), sono presenti i resti di un'antica e favolosa città (risale al XIII sec.), Nan Madol, che rappresenta una delle più grosse incognite del Pacifico. Non si riesce a spiegare come una popolazione medioevale, isolata dal mondo, sia riuscita a trasportare via mare, con le imbarcazioni di allora, gli enormi blocchi di basalto sui quali si reggeva questa città sul mare.
Il paradiso che trovarono gli europei, quindi, era costato caro. E spesso, dietro le palme e lo splendore dei mari corallini, si celano anche oggi gravi problemi, comuni a molti altri paesi non necessariamente insulari, che mettono a repentaglio l'esistenza stessa di questi piccoli stati.
Nel ventesimo secolo, ulteriore legna sul fuoco del mito del buon selvaggio libero e felice è arrivata dalla celebre antropologa americana Margaret Meade con il suo "idilliaco" "Coming of Age in Samoa" (L'adolescenza a Samoa), degli anni trenta che ebbe un grande successo globale. Solo che i samoani si presero un po' gioco di lei, mostrando solo parte della loro società. Fu Derek Freeman, molti anni dopo, a riportare tutti con i piedi per terra con il suo altrettanto celebre "Margaret Meade and Samoa: the Making and Unmaking of an Antropological Mith".
Oggi elevati indici di crescita demografica e disoccupazione sono all'ordine del giorno in molti stati. La terra coltivabile scarseggia e le calamità naturali sono sempre dietro l'angolo, pronte a distruggere abitazioni e raccolti. Non tutti gli stati si possono permettere strutture turistiche, alcuni è probabile non ne avranno mai. Tuvalu e, in alcune parti, Kiribati, per esempio, due gruppi insulari del Pacifico, potrebbero scomparire nel giro di trenta o quaranta anni a causa del probabile innalzamento del mare dovuto all'effetto serra; le previsioni degli scienziati forse sono erronee, ma voi investireste miliardi per costruire alberghi su questi atolli?
Così molte piccole nazioni hanno cercato strade alternative. Tuvalu per esempio, oltre a chiedere ospitalità all'Australia (per trasferire là l'intero stato!), ha sfruttato la sua piccolezza (è in pratica il più piccolo stato "vero" del mondo, escludendo il Vaticano", con 10.000 abitanti in tutto!) stampando francobolli per collezionisti e concedendo a pagamento alle tv commerciali del mondo il suffisso internet .TV che per via del nome gli spettava grazie alle convenzioni internazionali.
Altri hanno sfruttato alcuni vantaggi legati proprio all'insularità e alla collocazione geografica e tra questi, certamente, la possibilità di trasformarsi in rinomati paradisi fiscali. Vedremo come ciò è accaduto, e quando, la prossima settimana.








Questo Articolo proviene da Simone Mariotti
http://www.simonemariotti.com

L'URL per questa storia è:
http://www.simonemariotti.com/modules.php?name=News&file=article&sid=191