Pubblicato il 13 aprile 2005 su La Voce di Romagna
in prima pagina
di Simone Mariotti
Ce la giochiamo a carte?
No!
Facciamo a braccio di ferro?
No!
Perché non ce la giochiamo a birra e salsiccia?
...
DOVE?
Gli anni settanta sono stati l'ultimo decennio di passioni
vere. Politiche soprattutto, ma non solo. Fu un periodo pieno di contrasti,
l'ultimo in cui un giornale (e tanti importanti nacquero allora) poteva ancora
competere a testa alta con la tv, l'ultimo prima della tecnologia, della televisione
per forza, ottima certo, ma a volte un po' troppo ingombrante. Il cinema non
poté che rispecchiare come sempre gli umori, le contraddizioni, le fantasie
degli italiani. Fu un decennio cinematograficamente straordinario, per quanto
un po' sconquassato, in cui riuscirono a coesistere e a prodursi sia grandi
capolavori, sia Giovannona Coscialunga. C'erano Bertolucci, Scola, Fellini,
e c'era il fantastico Monnezza; nasceva Moretti ma anche Lino Banfi e Pierino,
che è appena entrato all'accademia di Francia (cosa che dubito riuscirà
ai Vanzina, continuatori dei b-movies dagli anni ottanta in poi), mentre qualcuno
ancora oggi sogna Gloria Guida e Nadia Cassini o titoli epici come "Alle
dame del castello piace fare solo quello". Era comunque un cinema vitale,
di una vitalità che si sarebbe spenta sul finire del decennio e che non
sarebbe ritornata prima dell'arrivo di Salvatores.
Su tutto ciò brillavamo due stelle molto particolari che ancora, uniche,
non sono tramontate neanche per il grande pubblico.
Quaranta anni di contributi pagati dal grande schermo (sin dal Gattopardo di
Visconti), trentacinque di onorato servizio in sella ad un cavallo più
stanco di lui, Trinità alias Terence Hill ("la mano destra del diavolo")
raggiunge l'età pensionabile: 65 anni compiuti pochi giorni fa, e a dirlo
fa un po' effetto (in alcune biografie è scritto 29 marzo 1939, in altre
1940; ho preso per buone queste ultime, così, solo per gioco).
Insieme al grande Bud Spencer, in una manciata di film, sono riusciti a far
innamorare di loro bambini e ragazzi di tre generazioni: quelli che videro al
cinema il primo "Lo chiamavano Trinità" (1970), quelli che,
come il sottoscritto, se lo gustarono qualche anno dopo nei cinema parrocchiali
(come l'indimenticata "Arena del Fanciullo" di Rimini gestita dai
Salesiani), quelli che, pur nell'era televisiva del Grande Fratello e dei programmi-splatter,
se li trovano ancora oggi in prima serata, ed è sempre un grande successo.
Un destino che non è toccato agli altri film culto di 30 anni fa, sia
quelli figli di un cinema minore, che spesso riempiono le notti estive in qualche
rassegna su Italia 1 o Rete 4, sia quei film d'autore che hanno contribuito
a far grande il cinema italiano, pressoché spariti dai palinsesti oggi
regno dei reality (con qualche rara eccezione pomeridian-mattutina).
Bud e Terence possono proprio essere orgogliosi di tutto ciò, infischiandosene,
anzi ridendone, come avrebbero fatto i loro personaggi ("Quando hanno detto
che nostra madre è una vecchia baldracca non ci ho visto più"
- "Ma è la verità!" - "Si ma non è vecchia!")
della solita critica da salotto, quella snobbettina, che continua su libri,
giornali, manuali ad appioppare regolarmente ai nostri eroi le due solite stelline
striminzite, massimo tre.
I loro film sono invece semplicemente belli, e basta. Sinceri come le passioni
di allora, divertenti per chi li realizzava, da EB Clucher (Enzo Barboni) al
poliedrico produttore-regista Italo Zingarelli (che dopo averne fatte di tutti
i colori, si ritirò nella vigna dei suoi sogni a Castellina in Chianti
mettendo su una fior di azienda vinicola, "Rocca delle Macìe")
che intuì insieme a Barboni il grande potenziale di quella coppia che
avrebbe stravolto lo schema degli "spaghetti western"; e poi i fratelli
Guido e Maurizio De Angelis, i mitici "Oliver Onions" le cui geniali
musichette si canticchieranno sempre volentieri, fino ai tanti personaggi dei
cast, che traghettavano da un film all'altro, ricreando la stessa gustosa atmosfera
familiare, dagli scagnozzi del "Maggiore", a quelli di "Mr. Ormond",
uno dei cattivi più gaudenti della storia del cinema.
C'era forse uno spazio creativo maggiore e meno concorrenza, tanto che anche
la tv settantesca riusciva a fare epoca e il successo popolare di sceneggiati
come Pinocchio e Sandokan (guarda caso la celebre musica per quest'ultimo la
scrissero sempre i De Angelis) non è stato quasi mai più eguagliato.
Ma c'era molto altro e sarebbe imperdonabile fermarsi alla superficiale risatina
di facciata tra una scazzottata, una sfida alla pelota e una partita di poker,
anche se al tavolo potevi trovare niente meno che "Wild Cat Hendrix"!
Dal canto finale di "Io sto con gli ippopotami", che riesce a trasmettere
un messaggio ambientalista come pochi ne sono stati realizzati, cento volte
più efficace di tante campagne, all'irripetibile deliziosa assurdità
di "Altrimenti ci arrabbiamo" ("La rivogliamo tale e quale com'era:
una Dunne Buggy fresca di fabbrica. Sarebbe un gesto gentile mandarcela a casa.
Aspettiamo fino a domani a mezzogiorno ... - Altrimenti? - Altrimenti... altrimenti...
Altrimenti ci Arrabbiamo"), alla trasudante felicità dei due film
di Trinità, ogni fotogramma ha la invidiabile capacità di fissarsi
nella memoria scaldando ad ogni visione quel po' di spazio del cuore a cui nessuno
vuole rinunciare, perché parte integrante della nostra crescita e della
nostra essenza, quell'infanzia tra banchi di scuola e partite di pallone sullo
sfondo della quale Bud e Terence, senza presunzione né ossessioni, si
stagliavano come un mistico, ma democratico compromesso tra un eroe avventuroso
e gagliardo e un pataca qualunque che potevi incontrare nel bar sotto casa.
In due parole, noi stessi, ma senza quel sacco pieno di faticose paranoie che
ci portiamo dietro, regolarmente e inesorabilmente.
Sfortunati sono stati quei bambini che nella loro infanzia/adolescenza non hanno
potuto apprezzare questi eroi tutti italiani, ma così abbondantemente
esportati all'estero (tanto che uno dei siti internet più ricchi di informazioni
è tedesco); e poveri quei genitori di oggi che avendoli mancati a loro
volta, continuano a guardare con irrimediabile sufficienza le avventure di Trinità
e Bambino, incapaci per sempre di perdersi in quell'abbandono rilassato che
negheranno, forse, anche ai loro figli.
Ma ora basta perché, come disse qualcuno: "Si fa notte tenente!"
