Pubblicato il 29 novembre 2006 su La Voce di Romagna
in prima pagina
di Simone Mariotti
"Ci sono due periodi della vita di un uomo durante
i quali non deve speculare: quando non può permetterselo e quando può"
Mark Twain, Seguendo l'equatore, 1897
La recente rielezione di Lula alla guida del Brasile mi fa
venire in mente un'importante lezione di finanza che, da un certo punto di vista,
lo stesso Lula ha contribuito ad insegnare a chi ha seguito con attenzione le
vite parallele delle obbligazioni emesse dal Brasile e dall'Argentina.
Sono passati 5 anni esatti dall'inizio dei problemi per i possessori dei "tango
bond". Nel novembre 2001 la situazione a Buenos Aires era precipitata ed
a gennaio 2002 scattò tecnicamente il default sul primo titolo.
Nell'estate 2001 i titoli argentini erano scesi ad una quotazione di poco più
di 60 lasciando gli investitori dubbiosi sul da farsi. Solo pochi mesi prima,
però, erano venduti ad un prezzo vicino alla parità (cioè
100).
L'11 dicembre del 2000, per esempio, La Stampa dedicò una pagina intera
al paese sudamericano. Un titolo molto grande diceva: "Argentina, lezione
di tango per chi punta sulle cedole alte". Il primo paragrafo era dedicato
ai pericoli del default. Cito testualmente: "Attorno all'Argentina è
già scattato l'intervento del Fondo Monetario. E' molto probabile, in
pratica certo, che il paese sudamericano possa far fronte al pagamento degli
interessi (e scongiurare il temuto default)". Dopo aver ricordato la presenza
dei titoli nel portafoglio di molti italiani, l'articolo proseguiva: "Che
devono temere i risparmiatori? Probabilmente nulla, perché grazie al
prestito del FMI l'Argentina non avrà problemi a onorare il debito, almeno
fino al 2001. Dopo, assicurano a Buenos Aires, la situazione migliorerà….i
fondamentali appaiono buoni". Per giungere alla domanda finale: "Ma
ce la farà De la Rua (il presidente di allora)? I numeri dell'Argentina
a dire il vero non giustificano l'allarme". Nella stessa pagina si alternavano
esperti vari, ma il tono rassicurante era comune a tutti.
Anche su Bloomberg Ivestimenti del 10 febbraio 2001 l'ottimismo prevaleva: "Il
Risveglio dell'Argentina: dopo la crisi di ottobre 2000 l'allungamento del debito
è stato un successo". Dopo aver snocciolato un po' di cifre, l'articolo
terminava così: "Concludendo, si può affermare che l'ottimo
andamento del mercato obbligazionario argentino negli ultimi mesi è giustificato
dal buon lavoro fatto dal governo, oltre che dal poderoso intervento del FMI".
Erano tutte panzane? Ottimismo ingiustificato? Cialtroneria finanziaria? No,
semplice realismo che collimava perfettamente con il livello assegnato all'Argentina
in quei giorni dalle società di rating, un singola B, e cioè il
più classico di quelle che in gergo vengono definite "obbligazioni
spazzatura", quindi non il massimo dell'affidabilità. Dove sta allora
la lezione di Lula? La lezione è che in finanza non ci sono regole scritte
anche nei casi di disastri "annunciati".
Appena 6 mesi dopo il default argentino, nell'estate 2002, i possessori di obbligazioni
brasiliane si trovavano in una situazione identica a quella che angosciava gli
"argentini" dell'anno prima.
Il Brasile stava vivendo un momento economicamente delicatissimo. Le obbligazioni
in mano agli investitori erano scese addirittura a 48, peggio di come stavano
gli investitori in argentina a tre mesi dal crack. Il debito pubblico era ancora
più grande del paese vicino e c'era pure lo spettro che al potere arrivasse
un sindacalista populista. Anche il rating dei titoli "samba" era
lo stesso che avevano i tango bond, ed oltretutto il brasile in passato era
già fallito 7 volte! In più, se per il caso Argentina il fulmine
arrivò per molti in modo inaspettato, per il Brasile l'esempio dei vicini
aveva riportato tutti con i piedi per terra. Cosa doveva fare allora un investitore
serio, possessore dei titoli brasiliani nell'estate 2002?
Semplicemente valutare la sua capacità di sopportare quel rischio, essere
consapevole che non esistono cose ovvie in finanza, ed eventualmente attendere.
E benché ci trovassimo in un pantano identico a quello argentino, il
buon Lula, non si limitò a nominare Gilberto Gil a ministro della cultura,
ma ridiede anche fiducia agli investitori internazionali ed i samba bond comprati
in quel periodo si sono rivelati essere un ottimo affare.
Ma sarebbe bastato un ingranaggio fuori posto, ovviamente imprevedibile, ad
inondare il mondo con una poco piacevole saudae finanziaria.