Il difficile compito del Conclave
Pubblicato il 6 aprile 2005 su La Voce di Romagna in prima pagina

di Simone Mariotti

"Se mi sbaglio mi corigerete". Si poteva resistere al fascino di un uomo che, fatto Papa, potente pure del dogma dell'infallibilità, ammette la sua debolezza in modo così umano? Io non ci sono mai riuscito, pur non condividendo tante sue posizioni.
Papa visceralmente estraneo a quel groviglio oscuro di vaticanità e potere come lo furono gli anni dello Ior di Marcinkus, Wojtyla fu una sorta di fulmine a ciel sereno, un vero capolavoro del Conclave del '78, un uomo di cui i più lungimiranti apprezzarono subito la forza dirompente, come Pannella che col grande acume che gli è riconosciuto, subito dopo l'elezione disse: "Dio ce lo ha dato e guai ha chi me lo tocca", frase che lo stesso Wojtyla scherzosamente ripeté rivolto al leader radicale qualche anno dopo. Eppure all'inizio non pochi lo "toccarono".
Quella moltitudine infinita che oggi piange il suo Papa, un tempo era certamente meno unanime nel giudizio. Erano i primi "trasgressivi" anni del pontificato, quelli più decisivi, più vivi, e non mancavano le critiche al Papa che viaggiava "un po' troppo spesso", a "quel girandolone", come qualcuno ironizzava, per non parlare della piscina che aveva fatto costruire, "che spreco", o delle sue ripetute "vacanze" sugli sci.
Stolte fesserie, rivolte a chi faceva dei mezzi di cui disponeva uno degli usi più saggi che la storia del papato ricordi. Al contrario della continua dilapidazione senza beneficio alcuno che invece viene tutt'oggi perpetrata attraverso l'ostentato lusso vescovil-cardinalizio.
Giovanni Paolo II riempiva le pance con la speranza. Pochi, forse nessun'altro come lui sono stati in grado di mostrare ai poveri della terra che il mondo non si era dimenticato di loro, e che da loro voleva recarsi per abbracciarli e sostenerli.
Le celebrazioni globali che si sono susseguite, e che continueranno, lasciano sgomenti per la loro potenza, ma dovrebbero sgomentare ancora maggiormente i cardinali cui è affidato il compito ingrato di dover scegliere il successore.
I miliardi di giovani cresciuti sotto la tutela di Woytila, che hanno conosciuto solo questo Papa, hanno forse un'idea falsata di ciò che il Vicario di Cristo ha rappresentato, non dico nei millenni, ma anche solo nell'ultimo secolo. Il Papa polacco, pur nel suo assoluto e austero rigore morale e spirituale, è stato quanto di più lontano si potesse immaginare dall'icona impomatata e sfuggente (Giovanni XXIII escluso) del potere vaticano (che ha continuato a vivere alla sua ombra), così come la si era sempre conosciuta prima di lui. Ed in questo Karol Woytjla continuò splendidamente per quella via, fatta di forza e semplicità, che aveva iniziato a tracciare quel Papa per un mese che avrebbe forse portato un uguale rimescolamento nella vita della Santa Sede e del mondo, di cui Giovanni Paolo II raccolse, credo, molto più che il semplice nome.
Dicevo, quindi, che la celebrazione di un addio quasi da "fine del mondo", con la sospensione del campionato (ovviamente solo in Italia, perché noi siamo i cattolici più bravi!) e, cosa gravissima per uno stato non confessionale, della campagna elettorale (neanche a Papa morto), ed anche questa, quasi, ossessione che vuole attribuire solo al Papa "tutto" il merito di "tutti" i più grandi cambiamenti sociali avvenuti durante il suo pontificato, di cui certo fu indiscusso protagonista, ma non l'unico artefice, crea l'idea di un vuoto che pare destinato a non dover essere riempito mai più, la sensazione che quello per cui Woytila aveva combattuto, sia destinato a non poter essere portato avanti da nessun altro, né i suoi errori coretti (perché a lui non attribuiti, quindi non riconosciuti).
Sono d'accordo con Paolo Mieli quando domenica, sulla prima de Il Corriere della Sera, sosteneva che sarebbe un errore "da parte della Chiesa cercare, come è accaduto in molti precedenti conclavi, un successore a Wojtyla all'insegna di una voluta discontinuità", e che potrebbe assumere la forma, per esempio, del Cardinale Ratzinger. Se dovesse accadere, forse qualcosa andrà perduto per sempre dell'opera di Giovanni Paolo II. Non so se il battagliero cardinale salesiano honduregno Rodriguez Maradiaga, o il brasiliano Hummes o un tanto evocato Papa nero potrebbero facilitare il cammino della nuova chiesa. Ma il velo di solo dolore che è stato sparso in questi giorni non lo faciliterà.
Perché deve essere un evento solo drammaticamente triste questa morte (così naturale, così serena, non violenta, non prematura) di questo Papa? Siamo sicuri di fare la sua volontà? Lo ricordava anche un parroco africano, sinceramente "innamorato", intervenuto a Radio 24 nelle ore prima del decesso. "Cosa dirò ai miei fratelli? Di ballare e cantare per festeggiare cristianamente il felice addio al nostro grande padre".
Anche io continuo pensare che il modo più bello di celebrare una morte non violenta, suggello straordinario per una vita straordinaria, sia quello gioioso alla maniera di New Orleans con cortei di musica e balli, e magari, con uno stadio pieno di persone che tutte in coro potessero gridare: ARRIVEDERCI KAROL, non ti dimenticheremo mai più!







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