Pubblicato il 31 agosto 2005 su La Voce di Romagna
in prima pagina
di Simone Mariotti
"Una miniera d'oro è un buco nel terreno con un
bugiardo di fianco"
Mark Twain
La settimana scorsa abbiamo iniziato a parlare dell'oro mostrando
come, benché ultimamente sia sembrato un ottimo investimento, la sua
storia recente ne ridimensioni non poco la luccicante fama di fonte sicura di
ricchezza.
Ma l'oro dai tempi del povero Re Mida, che uccise la figlia in un abbraccio
dorato, ha sempre scatenato la fantasia umana e stimolato le imprese più
avventurose che potessero portare alla sua conquista, e molto ci sarebbe da
raccontare. Però, anche limitandosi solo ad alcuni episodi degli ultimi
due secoli non mancano aneddoti e lezioni ancora preziose per l'investitore
di oggi.
A metà degli anni sessanta dell'800 la febbre dell'oro fece il suo ingresso
nella borsa newyorkese, creando una strepitosa bolla speculativa. Nel 1864,
in pochi mesi, più di 200 società minerarie piombarono sul "nuovo
mercato" dell'oro, il Gold Exchange. La storia era la stessa che si ripeteva
da secoli e che si sarebbe ripetuta pari pari negli anni venti, e durante altre
varie manie speculative.
Si recuperava una concessione per esercitare l'attività mineraria; si
corrompeva qualche giornalista per strombazzare ai quattro venti le fantasmagoriche
possibilità di guadagno, con tanto di esposizione pubblica di campioni
di prezioso "prelevati" dalla miniera, ovviamente certificati da un
espertone; un po' come le certificazione di bilancio della Parmalat. I nomi
delle aziende erano altisonanti, dalla "Gold Vein Mining Company"
alla "Mount St. Elias Silver Lode", fino alla grandiosa "Titan
Ledge and Black Mountains Gold Silver and Copper Company".
Poi iniziava il girotondo di passaggi azionari per gonfiare il prezzo dei titoli
fino a scaricare la patata bollente sul mercato dei pesci piccoli. Il gioco
si ruppe quando Antony Morse, uno dei pezzi grossi del mercato, fece fallimento
trascinando dietro di se il 90% della ricchezza del mercato. Fu in questo contesto
che Mark Twain enunciò la frase che ha aperto questo articolo.
E come non ricordare la mitica corsa all'oro in Alaska tra il 1897 e il 1900?
Quanti di voi da piccoli sono rimasti affascinati dai racconti del mitico Klondike
di Paeroni de' Paperoni. Purtroppo però Zio Paperone (e con lui lo Charlot
di "La febbre dell'oro") fu uno dei pochissimi a fare fortuna tra
i ghiacci di Dawson City. Su 100.000 persone che tentarono l'impresa, meno di
400 riuscirono ad arricchirsi veramente, mentre tantissimi non poterono neanche
usare il loro setaccio, stroncati prima del tempo dalle intemperie e dal freddo
durante l'avvicinamento al fiume Yucon, di cui il Klondike era il prezioso affluente.
Andò un po' meglio ai cercatori d'oro che giunsero in California nel
1849 (i "fortyniners", come ricorda, omaggiando i pionieri, la squadra
di football di San Francisco). Il clima era decisamente migliore, "pure
troppo" verrebbe da dire contando le centinaia di morti stroncati dalla
sete durante l'attraversamento del deserto del Nevada. Almeno, però,
di oro in California ce n'era in abbondanza.
Ma il passato, anche molto lontano nel tempo, si interseca spesso con il presente.
Il fascino della miniera è proprio intramontabile, tant'è che
il sogno della ricchezza che sarebbe fuoriuscita da un buco nel terreno, meglio
se situato in un paese esotico, è sempre stato uno scenario ideale per
mettere su una bella truffa.
Chi possiede titoli dell'Argentina deve sapere che i primi risparmiatori restare
vittima di un default del paese sudamericano furono migliaia di europei (più
che altro inglesi) nel 1825, quando, proprio con la speranza di enormi guadagni
che sarebbero dovuti arrivare dalle miniere sudamericane, finirono in circolazione
una valanga di obbligazioni che non furono mai ripagate. Ma la fantasia umana
non aveva limite.
Sul listino azionario si presentarono, accanto a quelle serie, anche sottoscrizioni
per le imprese più strampalate, come quella di drenare il Mar Rosso per
recuperare l'oro che egizi avevano perso durante la caccia agli ebrei. Alla
fine i mercati, sia quello azionario che quello obbligazionario, fecero flop.
Fallirono circa 70 banche inglesi e oltre 100 azioni minerarie sparirono dal
listino londinese. Come abbiamo visto i titoli auriferi tornarono di moda 40
anni dopo in casa dello zio Sam.
Lo storico Charles Kindleberger ricorda inoltre che la "febbre esotica"
era già scoppiata ai primi dell'800 quando alcune manie commerciali ubriacarono
l'Inghilterra grazie alla fiducia cieca riposta nel potenziale dei "nuovi
mercati".
I migliori prodotti britannici venivano infatti spediti in Brasile e in Argentina
senza pensarci troppo su, tanto che si vollero vendere gli scaldaletto di Birmingham
a popoli che vivevano sotto il sole dei tropici, o i pattini di Sheffield a
chi del ghiaccio ne ignorava persino l'esistenza.
Ma per tutto il corso del '900 sono stati creati castelli di carte minerarie
per spillare quattrini a destra e a manca.
Lasciando perdere i tanti Schemi Ponzi che sono fioriti oltre oceano negli ultimi
50 anni, una vicenda curiosa ed esemplare ha coinvolto molti personaggio italiani
tra cui Roberto Baggio, la cui fase giudiziaria e si sta svolgendo al tribunale
di Rimini.
La storia risale ai primi anni '90. Una coppia di industriosi padre e figlio,
Armando e Thierry Nano, mettono su un progetto "sicuro", un'opportunità
che si ripete una sola volta nella vita: lo sfruttamento delle miniere di marmo
nero in Perù. Generosi per natura,
decidono di rendere partecipi della cuccagna altri connazionali, diversi dei
quali nel territorio riminiese. Ma ci furono anche molte celebrità a
cadere nella rete dei Nano, come appunto Baggio, che pare vi abbia rimesso 7
miliardi, e anche Costacurta e Sebastiano Rossi furono della partita insieme
a molti altri, famosi e non.
La puzza di bruciato si sentiva però già prima che l'arrosto venisse
messo nel forno ed i segnali non mancavano di certo: una società domiciliata
a Panama (la Imisa), una banca situata in un paradiso fiscale dei Caraibi (St.
Vincent & Grenadine) che raccoglieva denaro tramite San Marino e Lugano,
la promessa di un rendimento del 40% in pochi mesi. Il classici elementi che
creano fumo di ricchezza per molti, ma denari sonanti per pochi.
Di marmo nero infatti non se n'è visto molto e, dopo qualche anno, la
palla è passata ai magistrati in seguito alla denuncia di qualche investitore
riminese che, invano, aveva cercato di ritirare i propri soldi dall'investimento.
A questo punto qualcuno potrebbe dire: certo, questo è quello che succede
alla gente comune, al popolo, a pesci piccoli sempre esclusi dalla festa. I
grandi manovratori degli affari mondiali avranno saputo certamente fare "affari
d'oro". Chi avrà la pazienza di aspettare la prossima settimana,
scoprirà che la regola d'oro per ogni forma di investimento, e cioè
"mai cercare di prevedere il mercato sperando di riuscire a batterlo con
costanza e sperando sempre di essere più furbi degli altri", vale
anche per i grandi protagonisti del mercato e le grandi istituzioni come le
banche centrali e il fondo monetario, che ripetutamente hanno fatto grossolani
errori proprio su quello che era stato il loro interesse primario, l'oro appunto.