Pubblicato il 13 luglio 2005 su La Voce di Romagna
in prima pagina
di Simone Mariotti
C'è una piccola evoluzione nel comportamento dell'investitore
medio globale. Spesso nel passato, ma non sempre, all'accadere di un evento
drammatico si scatenava un discreto panico psicologico sui mercati, e grandi
quantità di denaro prendevano il largo. Un calo prolungato rendeva tutti
più poveri per un po' di tempo. Poi è sempre arrivato il recupero,
con grande gioia di chi solitamente si butta nel torbido (dove si pesca sempre
meglio!) e di chi, stringendo i denti, riesce ad avere la pazienza di aspettare
che le acque si calmino e tornare a galla.
Oggi invece si assiste regolarmente ad un semplice passaggio di ricchezza dai
fifoni ai pazienti.
Scoppiano una serie bombe a Londra e le borse nelle 24 ore successive restano
quasi invariate.
Poche ore dopo lo scoppio, però, le borse europee erano a meno 4%. Accipicchia!
I più sprovveduti possono credere che il mercato vada su e giù
per motivi esoterici e che se alle fine della giornata gli indici di borsa sono
invariati non sia successo nulla di particolare. In realtà quel -4 dopo
due ore ci dice che una valanga di gente presa da panico ha venduto credendo
che due bombe in una metropolitana (lo so è cinico, ma è la realtà)
avessero un tale potere da disintegrare, oltre alle povere vite dei malcapitati,
anche i 400 miliardi di dollari equivalenti a quel calo.
Il mercato però sa il fatto suo, sa che 50 morti non cambiano le sorti
finanziarie di un paese e tanto meno di un continente, e che se di quelle bombe
ne fossero scopiate altre 100 l'economia globale non sarebbe stata intaccata
di una virgola. Ma gli scoppi sono ad effetto!
Un po' come per la Sars due anni fa. Tutti impauriti di prendere un aereo per
l'oriente, quando il semplice recarsi al lavoro in auto era enormemente più
rischioso rispetto alla remotissima probabilità di contrarre il malefico
virus. Resta però lo shock di un grosso evento mediatico, anche se riguarda
una frazione infinitesimale della popolazione e dell'economia globale.
La storia è ricca di tante pazzie momentanee senza reale significato
economico. Quando i tedeschi affondarono per sbaglio il transatlantico civile
americano Lusitania, nel 1915, il Dow Jones, per paura di un ingresso in guerra
degli Usa (che non avvenne), calò più di quanto non fece il giorno
del bombardamento di Pearl Harbor, che trascinò il paese nella Seconda
Guerra Mondiale.
Mi viene in mente un esempio che fece anni fa il grande Peter Lynch, una delle
leggende viventi in fatto di gestione del denaro (per 13 anni a capo della gestione
del Fidelity Magellan, il miglior fondo al mondo a quei tempi, 1977-1990), che
già da bambino era piuttosto attento. Nel suo libro One Up on Wall Street
(1990), Lynch a proposito degli effetti di un'attualità dirompente sulla
borsa scrisse:
"Mi ricordo di molti eventi che fecero molto chiasso sui media e i loro
effetti sui prezzi delle azioni, a cominciare dall'elezione del presidente Kennedy
nel 1960. Anche se avevo la tenera età di 16 anni, avevo sentito dire
che l'elezione di un democratico era stato sempre un evento negativo per la
borsa, così fui sorpreso di vedere che il giorno dopo l'elezione, il
9 novembre 1960, il mercato era in leggera salita.
Durante la crisi dei missili a Cuba e il nostro blocco navale sulle navi sovietiche
- la sola e unica volta che l'America ha visto davanti a se la prospettiva di
una guerra nucleare - io ero spaventato per me, per la mia famiglia e per il
mio paese. Tuttavia la borsa calò di meno di 3 punti percentuali quel
giorno. Sette mesi dopo, quando il Presidente Kennedy bacchettò la US
Steel e la forzò ad una riduzione di prezzi, io non ero spaventato per
niente, ma il mercato subì uno dei cali più grossi della sua storia,
perdendo il 7%. Ero veramente sconcertato dal fatto che un potenziale olocausto
nucleare fosse meno terrificate per Wall Street dell'interferenza del Presidente
negli affari privati."
Dal tempo del Lusitania il mercato aveva imparato a pesare in modo corretto
gli eventi: aveva regione allora a non temere troppo la crisi di Cuba, ed ha
ragione oggi ad infischiarsene di un gruppo di esaltati bombaroli, la cui fortuna
è solo che se ne parli in termini melodrammatici.
La storia, non solo della finanza e dell'economia, ci dice che tutte le teorie
fantasiose sullo scontro di civiltà, sull'Eurabia e via dicendo, sono
solo abbagli di chi non riesce a vedere oltre il proprio orticello ed ha voglia
di prendersela contro qualcuno. Come ha scritto bene Mario Cervi un paio di
giorni fa su Il Giornale, quello in atto non è uno scontro di civiltà,
ma una guerra civile all'interno del mondo islamico tra moderati e integralisti.
Chi ritiene che un gruppo di sparuti kamikaze, che concretamente (altro cinismo,
va bene, ma è ancora la realtà) fa danni migliaia di volte inferiori
a quelli commessi dai padri di famiglia europei quando si pongono alla guida
delle loro auto killer, possa spostare qualcosa nell'evoluzione della comunità
internazionale ha già fatto, solo pensandolo, un grosso regalo al satanico
Osama, che non può che gioirne.
A proposito.
Con tutto ciò il prezzo del petrolio a lungo termine non ha nulla a che
fare. E' semplicemente una risorsa scarsa in via di esaurimento, che con l'aumento
della domanda globale tende ad essere più cara. Soprattutto perché
i primi acquirenti, gli occidentale, non fanno un tubo per trovare alternative
potenzialmente meno disastrose del nucleare. E questo non per il volere di Allah.