Pubblicato il 6 luglio 2005 su La Voce di Romagna
in prima pagina
di Simone Mariotti
Com'è che da qualche mese un gruppo di immobiliaristi in giro per
l'Italia si sta gettando a capofitto su banche, giornali e altre speculazioni?
Forse questi signori del cemento si sono resi conto cha la festa sta finendo
nel loro settore e cercano sbocchi alternativi per la massa di denari finiti
nei loro forzieri negli ultimi anni. Tuttavia il gran turbinio messo in moto
da Ricucci e compagni ci dà lo spunto per un'altra riflessione su un
gravissimo problema del nostro Paese, che si trova a fronteggiare una continua
perdita di competitività internazionale.
Al di là dei discorsi legati all'opportunità di un investimento,
sgonfiare la bolla immobiliare è cruciale per la stessa sopravvivenza
economica del Bel Paese.
C'è una brutta, bruttissima parola che incombe da sempre sulle sorti
di ogni sistema economico e che ne frena lo sviluppo. Questa parola è
"rendita". E ahimè l'Italia in fatto di rendite (di posizione)
non è seconda a nessuno tra i paesi ad economia avanzata e non solo,
anche se definire avanzato il nostro sistema economico necessita di coraggio.
L'idea di rendita suscita un'antipatia viscerale in chiunque cerchi con il suo
lavoro di fare del proprio meglio, di contribuire onestamente e faticosamente
all'organizzazione a cui appartiene, e in chi sa che ad ogni sforzo onesto e
ben riposto deve essere corrisposta una ricompensa. Quando invece si afferma
la cultura della rendita là inizia la fine dello sviluppo in favore dello
spreco di risorse preziose.
La rendita si oppone concettualmente all'utile d'impresa, ai profitti, all'idea
di concorrenza, alla libertà che caratterizza un mercato efficiente.
Dalla sproporzionatamente esosa casta dei notai, alla generale chiusura degli
ordini professionali. Dagli inspiegabili e veramente assurdi privilegi accordati
alle farmacie, alle posizioni dominanti dei grandi gestori di servizi pubblici
(da Telecom a Enel) con i loro canoni e noleggi vari; fino al numero chiuso
per le licenze commerciali, le edicole, per tacere del ridicolo ordine dei giornalisti,
e via così. In Italia navighiamo a vista tra mille e più rendite
di posizione in cui il detentore di un privilegio vessa il povero cittadino
in forza di un diritto quasi innato e quasi sempre immeritato, che crea solo
sperpero di utili risorse a vantaggio di pochi, come il pizzo pagato a un picciotto,
o la gabella che arricchiva i forzieri dei signorotti medievali.
Su tutto ciò la rendita immobiliare rappresenta da molti punti di vista
il simbolo, la perfetta apoteosi del declino industriale di un paese che ha
deciso di investire le sue risorse in qualcosa di assolutamente improduttivo
e immobile, a svantaggio dello sviluppo imprenditoriale sano, di un mercato
dei capitali efficiente, del venture capital, dei fondi pensione, della cultura
dell'azionariato diffuso.
Le bolle che si creano nel mercato immobiliare sono molto più dannose
di quelle finanziarie perché le risorse in esse coinvolte sono di gran
lunga superiori e molto più difficili da rimettere nel sistema produttivo
una volta finite impastate nella calce.
Finito il tempo delle svalutazioni competitive e di alta inflazione, che mascheravano
l'inadeguatezza del nostro sistema, dalla nascita dell'euro in avanti ci si
è rifugiati sempre in modo più pesante nelle rendite e nei privilegi.
In questi giorni si è ricominciato a parlare (per fortuna con poca convinzione)
della possibilità, gia ventilata qualche settimana fa, di un incremento
significativo della tassazione sulle "rendite" finanziarie. Benché
abbastanza accettabile in linea di principio, applicata nell'Italia di oggi
un tale tipo di provvedimento risulterebbe efficace solo se accompagnato da
un'altrettanto dirompente (e quindi improbabile) offensiva anti rendita, soprattutto
sul fronte immobiliare.
In caso contrario l'unico effetto tangibile sarebbe un'ulteriore immobilizzazione
della liquidità degli italiani al di fuori del mercato dei capitali,
verso i soliti impieghi inefficienti come conti correnti (con grande vantaggio
delle banche, guarda caso un altro settore protetto ed inefficiente) e il solito
mattone, che avrebbe al contrario bisogno di una forte doccia gelata. E ciò
non farebbe che zavorrare sempre di più il nostro paese sul fondo di
una palude dalla quale pare, al momento, non volerne uscire. Ed in tutto ciò
la Cina non ha nessuna colpa.