Pubblicato il 9 marzo 2005 su La Voce di Romagna
in prima pagina
di Simone Mariotti
Avete presente Linus la notte di Ognissanti, seduto speranzoso
nell'orto dei cocomeri (in realtà sono zucche)? I tarder di tutto il
mondo videro per l'ultima volta loro Grande Cocomero Finanziario la notte del
9 marzo 2000, e per molto tempo restarono inconsolabili.
Quello di cinque anni fa fu un giorno particolare, uno di quelli che poche volte
si ripetono nella storia. Sistemate le loro cose, stanchi dopo una giornata
di lavoro, davanti al computer, i "risparmiatori attivi" controllavano
i rialzi del loro pacchetto azionario. Erano felici, e stavano per addormentarsi
pronti per vivere alla grande l'ultimo giorno di vera gloria: solo che nessuno
li aveva avvisati.
Il dieci marzo 2000 la grande zucca tecnologica del Nasdaq, tocco il suo apice
a 5048 punti. Doveva essere solo una tappa intermedia di un cammino impetuoso
verso i 10.000, che avrebbe dovuto portare doni a tutti, "sinceri e non
sinceri". Ma qualcosa non funzionò.
Il 6 febbraio 1637, un mercante olandese, che pochi giorni prima aveva comperato
un cospicuo set di bulbi di tulipano a prezzi stratosferici, si era avviato
di prima mattina in una delle locande in cui avvenivano gli scambi con l'assoluta
convinzioni di poter rivendere la sua fortuna ad altri, a prezzi superiori quelli
battuti nell'asta di Alkmaar del giorno precedente. Come accadde all'investitore
tecnologico del 2000 (o ai fanatici brokers il 29 ottobre 1929), il mercante
dovette fare i conti con un fatto nuovo: tutti avevano iniziato a vendere e
non c'era più nessuno deciso a comperare a quei prezzi. E la Grande Zucca
sparì.
Limitando l'analisi al 2000, fu un disastro prevedibile? Ancora oggi la risposta
è molto controversa. Una cosa però è certa: nonostante
le truffe poi smascherate sui singoli titoli, spinti dalle banche d'affari collocatrici
nelle tante offerte pubbliche di vendita, quelli che veramente allora credevano
e gridavano al disastro imminente e generalizzato si contavano sulla punta delle
dita. Negli ultimi tre mesi prima del crollo, sulla stampa si leggeva di tutto,
tranne preoccupazioni.
Con un 1999 che si stava chiudendo con grandi rialzi, l'euforia era alle stelle
e nessuno osava neanche immaginare uno scenario che non fosse paradisiaco, la
festa non poteva finire. Cito solo tre esempi, significativi per tutti gli altri:
4 dicembre 1999, Milano Finanza: "Mibtel a tutta lena … con Wall
Street euforica, per i gestori la fase di rialzo è solo all'inizio";
11 dicembre 1999, Il Sole 24 Ore: "Il vento di ripresa si estende e rafforza
a tutte le latitudini mentre la locomotiva Usa non da segni di rallentamento"
Il titolo principale era "Un 2000 di crescita per tutti"; e ancora
il 22 dicembre 1999, sempre su Il Sole 24 Ore: "Gli analisti concordi:
nel 2000 crescita europea all'americana".
A pochi giorni dall'inizio del declino si potevano ancora leggere dichiarazioni
come le seguenti: 23 febbraio, MF: "Nasdaq, per gli analisti nessun crollo
in vista: 28 febbraio, Il Sole 24 Ore: "L'Europa batte Wall Street e vede
Rosa. Utili in accelerazione, mega fusioni, e la forte liquidità tra
i fattori a sostegno delle quotazioni - I media e le Tlc sono ancora protagonisti.
Gli analisti confermano le buone prospettive di crescita nel 2000".
Oltreoceano spopolavano libri di vera cialtroneria finanziaria come "Dow
36.000: The New Strategy for Profiting from the Coming Rise in the Stock Market"
o "Dow 40.000: Strategies for Profiting from the Greatest Bull Market in
History", che sulla base di continui ritorni a due cifre prevedevano in
pochi anni la moltiplicazione del valore dell'indice Dow Jones a livelli direi
maniacali. Una delle poche voci fuori dal coro del 2000 era quella di del professor
Robert Shiller, che da vera cassandra scrisse il libro "Esuberanza Irrazionale",
e che due anni dopo avrebbe parlato, ancora con ragione, di bolla al ribasso,
e che oggi vede negli immobili una bolla destinata a sgonfiarsi pian piano.
Altri comportamenti erano invece già allora indice di pura follia, facilmente
identificabili ed evitabili, come quello di indebitarsi per acquistare titoli
come, per esempio, Seat Pagine Gialle (uno dei preferiti dell'epoca), o ritenere
Tiscali "fortemente scontata" a 70 solo perché pochi mesi prima
era arrivata a 110, quando era stata collocata a 6 un anno prima (oggi vale
meno di 3), o che Virgilio De Giovanni era un gran furbacchione e dalla sua
Freedomland era meglio tenersi alla larga. Ma per evitare di incappare in quelle
trappole bisognava più che altro conoscere un po' la storia finanziaria,
ricca di tanti piccoli episodi identici.
Dopo 5 anni, alla luce degli avvenimenti successivi si possono trarre delle
conclusioni interessanti.
La prima è che ancora una volta è stato dimostrato che non ci
sono pasti gratis, trend sicuri, investimenti sempre migliori di altri che possono
far guadagnare sempre. Ci sono possibilità di investimento, e basta,
che devono essere valutate di volta in volta senza la febbre da mago del trading.
La seconda e più importante è che così come fasulla era
l'idea di un periodo di grazia infinita, ugualmente erroneo fu il panico che
seguì a successivi momenti di crisi. A cavallo tra il 2002 e il 2003,
con l'argentina finita da poco in default, i grandi scandali aziendali americani
sulle pagine dei giornali (Parmalat doveva ancora venire), lo spettro della
guerra e il puntuale pesante crollo azionario, i tanti che ritenevano di essere
entrati definitivamente nella via della perdizione finanziaria si sbagliavano
tutti di grosso. Fu nient'altro che uno dei ciclici punti di minimo cui sarebbero
seguiti due anni di forte crescita sia nell'azionario che nell'obbligazionario.
Ancora una volta costanza, pazienza e diversificazione si sono dimostrate armi
vincenti. L'investitore di lungo periodo che per il suo patrimonio scelse 5
anni fa la vecchia, noiosa e "grezza" regola del 2/3 in Obbligazioni,
1/3 in Azioni oggi non se la passa male. Meglio di chi speculò con trading
e tecnologia, meglio di chi vendette tutto in forte perdita per comperare immobili
ai massimi del mercato.
Cosa accadrà domani? Se non avete capito che per far soldi in borsa non
bisogna cercare risposte a questo tipo di domande, tenetevi alla larga dal mercato
azionario perché come gia tre secoli fa ci insegnava un saggio mercante/filosofo,
Joseph Penso de la Vega nel suo "Confusion de confusiones" (1688):
"Le azioni si fan vanto di avere qualcosa di divino: ché quanto
più ci si discute sopra, tanto meno le si capisce, e quanto più
si usano, più ci si inganna".