La lezione che ci arriva dallo scandalo Argentina
Pubblicato il 2 febbraio 2005 su La Voce di Romagna in prima pagina

di Simone Mariotti

Tra due giorni scade il primo termine per l'adesione all'offerta di scambio obbligazionario fatta dal governo argentino. Che fare? La strada verso la quale si sta dirigendo la maggior parte dei risparmiatori è quella del rigetto di questa offerta, una soluzione condivisibile per due ordini di ragioni.
Primo, perché in una trattativa non si deve cedere ad una prima offerta che tra l'altro non è neanche frutto di una sorta di negoziazione, e se le adesioni saranno poche, Buenos Aires dovrà abbassare un po' la cresta se vorrà avere nuovo accesso al mercato del credito internazionale (sempre che la politica internazionale e il Fondo Monetario facciano rispettare le regole del gioco, altrimenti tutto andrà a rotoli)
Secondo, perché l'arroganza con cui Kirkner e compagni si sono presentati in giro per il mondo gridava vendetta.
Se questo dovesse essere il verdetto finale (la bocciatura di questa prima proposta), la palla passerebbe dai risparmiatori alle istituzioni, a coloro che guidano le leve di quel potere che può rendere più morbida la posizione argentina. Da questo punto di vista però si sono già evidenziate varie criticità. L'ABI ha perso un'altra occasione per mostrate agli italiani che le banche non hanno come scopo statutario quello di fregare i clienti. Se c'era un modo per rendere la posizione dei risparmiatori più forte e meno indecisa, sarebbe stato quello di gridare forte "tutti per uno" e mostrarsi combattive in un generale consiglio di non adesione che invece, a differenza di quando hanno fatto i banchieri svizzeri e giapponesi (per esempio), non è arrivato. Ed anche il governo ha recitato una sgradevole parte da Ponzio Pilato.
Ora pero bisogna guardare in faccia alla realtà. Per quanto misera sia l'offerta argentina, quello che si potrà ottenere non sarà molto di più. Se oggi viene offerto il 30% domani forse si potrà giungere al 40. La cruda verità è che il grande paese sudamericano è fallito, e di soldi non ve ne sono più tanti. Per quanto la ripresa in atto possa essere vigorosa, il dover pagare l'enormità di debito pregresso in tempi più rapidi non farebbe che sprofondare il paese in un'altra crisi, che non migliorerebbe certo le tasche dei risparmiatori nostrani.
Un tempo si sarebbe armato l'esercito e sarebbe scattata l'invasione del paese sconfitto alla conquista di terre e beni, ma la storia ci ha insegnato che non è il migliore dei modi per risolvere una controversia.
Un altro esempio storico è quello delle riparazioni di guerra. Dopo la prima guerra mondiale i francesi si impuntarono nel voler imporre ai tedeschi dei costi stratosferici come riparazione del disastro che avevano creato, cosa sacrosanta dal punto di vista "contabile", largamente stupida da quello della lungimiranza politica ed economica, come fece notare il giovane Keynes nello scritto polemico che lo rese celebre: "Le conseguenze economiche delle pace" dopo la Prima Guerra Mondiale. L'ostinazione francese (ma anche inglese) portò solo all'iperinflazione tedesca che gettò le basi di quel malcontento che portò alla salita al potere di Hitler. E' storia vecchia, ma il concetto non cambia.
In Argentina i populisti al governo che stanno ottenendo un grande successo interno per il muso duro mostrato al mondo con arroganza. E per quanto il loro atteggiamento probabilmente si risolverà in un danno futuro per il loro paese, chiuso al credito internazionale, pretendere troppo oggi sarebbe ugualmente sbagliato. La triste verità è che se gli argentini arrivassero a promettere la restituzione del loro debito al 100% in 10 anni, sarebbe matematicamente certo che tra 5 sarebbero di nuovo al punto di partenza, e cioè al verde.
Purtroppo la dura lezione argentina non è stata ancora sufficiente a far comprendere in toto agli italiani le due vecchie regole sacre della finanza: 1) chi non risica non rosica; 2) non mettere tutte le uova in uno steso paniere, qualunque esso sia.
La prova più lampante di ciò, è che mentre i "tango bond" stanno facendo piangere molti italiani, altrettanti nostri connazionali se ne stanno ingenuamente spensierati con una bella fetta del loro denaro nei "samba bond". Quanti di voi hanno obbligazioni brasiliane o venezuelane? Qualunque sia la risposta, siete in troppi. Per la cronaca, il Brasile nella sua storia è già andato in default 7 volte, il Venezuela 9! L'Argentina solo 6. Kennet Rogoff, uno dei più grandi economisti viventi, li ha definiti "serial defaulter".
Insomma, cerchiamo di risolvere i problemi alla base, riequilibrando le nostre posizioni attuali (il che non significa rinunciare ad investire in questi paesi, ricchi di grandi opportunità, ma solo di limitare l'esposizione al 5-10% del proprio patrimonio), e contabilizzando l'Argentina come una perdita, perché tale resterà, comunque si risolverà la trattativa in corso.
Trattativa che darà buoni frutti, solo se sarà grande l'unità dei creditori e forte l'azione dei governi, sia nel chiedere un piano di ristrutturazione più equo da una parte, sia nel far capire ai cittadini occidentali che se si strangola un paese sul nascere, si rischia di perdere definitivamente anche quel po' che ci viene offerto oggi.
Qualcuno ha parlato di un possibile risarcimento da parte del Governo. Sarebbe molto sbagliato (ingiusto per chi è estraneo alla vicenda, e oltretutto fortemente diseducativo) se fatto in misura consistente. Ma un concorso di colpa lo Stato italiano se lo deve accollare se non altro per il ridicolo livello preistorico delle leggi che tutelano il risparmio in questo paese. Se lo Stato si facesse carico di un misero un 7/8% ed altrettanto le banche, colpevoli in egual misura di cattiva consulenza (visto che ne saranno esenti solo dal 2006), si potrebbe aggiungere un 15% ad un offerta Argentina migliorabile, che porterebbe la perdita totale al 50/55%, un livello non abnorme per chi si avventura, rimanendone invischiato, nel paludoso mondo delle obbligazioni dei paesi emergenti.








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