Pubblicato il 22 dicembre 2004 su La Voce di Romagna
in prima pagina
di Simone Mariotti
E' uno di quei giorni che ti prende la malinconia/ che fino
a sera non ti lascia più,/ la mia fede è troppo scossa ormai ma
prego e penso fra di me/ proviamo anche con Dio non si sa mai;/ e non c'è
niente di più triste in giornate come queste/ che ricordare la felicità
sapendo già che è inutile ripetere:/ chissà ? Domani è
un altro giorno si vedrà.
("Domani è un altro giorno", Ornella Vanoni, 1971)
Tra la malinconia vissuta nel ricordo delle persone da cui
ci si separa e la gioia di scoprire ogni giorno nuove motivazioni per vivere
nel modo più intenso l'anno che verrà, come si fa a descrivere
in poche frasi dei pensieri confusi, resti di una felicità da riconquistare?
Se ci si riesce è sempre troppo tardi. Si scrive, si parla, si guarda,
si cerca. Ma le parole, quelle che tanto non devi dire fino a che un sogno dura,
ti vengono fuori con il loro calore sofferto solo quando vieni svegliato. E
ti resta un ricordo da idiota sfigato, che quasi non ha neanche la forza per
decidere di non scappare. Separarsi per crescere, per essere nuovamente forti,
felicemente svegli; è un pensiero duro, e quando te lo butti addosso
ne senti tutto il peso. Che fare? Chissà, come dice la canzone, "proviamo
anche con Dio non si sa mai".
Ed allora buon Natale a chi decide di sostituire il presepe con Cappuccetto
Rosso, sperando che capisca che la sua probabilmente buona fede, si è
trasformata in una "bestialità", quasi, forse, offensiva per
chi, appartenente ad un'altra religione, non è ritenuto capace di comprendere
le diversità, le tradizioni, i significati di un altro culto, certamente
amico nella sua forma più pura, e sotto molti aspetti violento allo stesso
modo.
Buon natale a chi ignora la quasi totalità della storia d'Europa e, impaurito
come un coniglietto dai turchi, fa di tutto per convincere il mondo che l'unica
buona azione da fare sotto il vischio sia dargli due sberle come si fa con i
bambini capricciosi.
Buon Natale di cuore a chi purtroppo, proprio durante la festa della Natività,
sarà costretto a rinunciare ad una nuova vita per colpa di una legge
non certo ispirata alla carità cristiana (ma quando i Magi se ne saranno
andati arriveranno nuove speranze).
E, dopo tutto, "Buon Natale" lo si può dire senza paura di
rovinare nulla, anche tra un pianto, una carezza al gatto, la voglia di scrivere
ogni emozione, anche quelle che si strozzano in una lacrima che non esce fino
in fondo, che solo chi si ama ti fa sentire grande abbastanza per mostrarla
senza vergogna. E oggi va bene tutto.
Va bene il crocifisso in classe, il caro vecchio presepe, vanno bene "Adeste
Fideles" e "Stille Nacht", e tenetevi pure Piazza Tripoli (questa
i ravennati non la capiranno, ma gliela spiegheremo con calma) e, oddio cosa
sto dicendo (ma è solo per oggi), pure la messa in tribunale.
Buon Natale, ma almeno ridateci "Jingle Bells"! Era una delle poche
canzoni festaiole non religiose, forse la più celebrata del mondo occidentale,
e che tra l'altro non è neanche un canto di Natale. Fu infatti scritta
per il giorno del ringraziamento da un pastore di Boston, James Pierpont, nel
1857, ma piacque così tanto che la ripeterono anche Natale, e quello
fu il suo destino. Le allegre strofe raccontano di bambini spensierati che si
buttano sulla neve, che si rincorrono su piccole slitte trainate da cavallini
al suono di campanellini tintinnanti. Con tanto di invito finale a godersi l'infanzia,
ragazzi e ragazze, fianco a fianco, allegri e puri da ogni contaminazione esterna
(compresa la religione, neanche solo sfiorata nel testo). Perché allora
qualcuno ha dovuto tradurla per forza in stile evangelico e propinarla ai bimbi
italiani mettendoci dentro Din Don Dan col "bambinel nella vecchia stalla
tra la mucca e l'asinel"? Non erano sufficienti "Tu scendi dalle stelle"
e tutte le altre canzoni-preghiera, e basta?