La tutela del risparmio non si fa in televisione
Pubblicato il 20 ottobre 2004 su La Voce di Romagna in prima pagina

di Simone Mariotti

Venerdì sera è andata in onda su Rai 3 una puntata di "Report", trasmissione-denuncia molto seguita, dedicata ad un tema che ho trattato spesso in questo mio spazio settimanale: la tutela del risparmio.
Devo dire che, benché ci sia stata una bella carrellata di accuse al sistema, la maggior parte delle quali ben centrate, dai i budget di vendita che stressano bancari, promotori e assicuratori alla necessità di importare dall'America strumenti di tutela fondamentali come la Class Action, fino alle convention auto-orgasmizzanti di Mediolanum, ("voi siete degli eroi, voi siete i veri highlander, indistruttibili" grida esaltato Ennio Doris ai suoi famelici promotori, ed un brivido ci corre lungo la schiena), l'impostazione del programma mi è sembrata non troppo azzeccata è decisamente sbilanciata su realtà trascurabili, se non addirittura, inconsapevolmente, favorevole alle banche. Cerchiamo di capirne il perché.
Tutta la prima parte del programma ha descritto la telenovela, trita e ritrita dei prodotti-vergogna di Banca 121, My Way e 4You. Che si sia trattato di comportamenti deprecabili da parte di Banca 121 è cosa nota da tempo, e su questo non si discute. Tuttavia sono oramai anni che la storia va avanti: Marrazzo ne ha fatte varie puntate di "Mi manda RAI3", sono in corso patteggiamenti, i giornali ne hanno parlato senza risparmiarsi. Insomma, non se ne può più. Anche perché è in agguato un rischio più grave: parlare solo di questi casi limite fa perdere di vista il resto del problema (come se i guai fossero solo quelli), crea sfiducia, e non risolve i problemi a chi ha a che fare continuamente con i grandi gruppi bancari.
Poi è arrivato, l'immancabile l'intervento del prof. Beppe Scienza, sempre duro e pungente, ma poco costruttivo. Ed ecco che scatta la solita polemica contro il risparmio gestito, con tanto di manipolazione dei dati (da parte degli autori), per spettacolarizzare un po' il tutto; certamente la pagina meno felice della puntata. Riassumiamo.
Prima si è fatta passare l'idea che siccome i prodotti gestiti hanno dei costi, tali costi sono un furto ai confronti dei cittadini, e per giunta, si è detto, di gran lunga superiore ai vari Parmalat, Argentina ecc. E' no, ragazzi. Negli ultimi mesi ho spesso accusato anch'io il sistema finanziario italiano, ma qui devo difenderlo. Pagare un gestore non è un furto in se, ma è il pagamento per una prestazione, così come si paga un avvocato, un commercialista, un barbiere, un elettricista. Che poi quel professionista non sia bravo, o che non si sia comportato onestamente, è un altro paio di maniche. E' magari deprecabile pagarlo così tanto per un lavoro che spesso sa di "ordinaria passività", questo si. Però, e qui arriviamo alla manipolazione dei dati, anche gli americani (una volta tanto esaltati dagli autori di Report) non se la passano molto meglio di noi. La trasmissione ha infatti mostrato un avvocato newyorkese che, rivolgendosi ad un call center, chiedeva informazione sui costi di gestione di "certi prodotti"; la risposta data era che il costo si aggirava attorno allo 0,35% annuo. ORRORE; e dire che in Italia siamo a 5 volte tanto, circa il 2%! ERRORE: lo 0,35% si riferiva (non detto) alla media dei costi dei fondi pensione americani, e dei grandi fondi assicurativi, tutt'altra cosa che i fondi comuni venduti ai risparmiatori. Infatti, proprio uno dei grandi paladini a difesa dei risparmiatori d'oltreoceano, John Bogle, molto feroce sui costi dei prodotti americani, in uno dei suoi più famosi libri, Common Sense on Mutual Fund, accusava il sistema USA di far pagare un iniquo, guardate un po', 2% medio su fondi che dovrebbero in realtà costare molto meno.
Quindi lo spettatore di Report osserva sgomento le sfighe che gli possono capitare in banca, si deprime più del dovuto perché sente dire che i suoi fondi fanno schifo mentre in giro per il mondo c'è il paradiso, e che anche alle Poste c'è poco da stare allegri (e questo è verissimo). Alla fine però sempre in banca o in Posta gli tocca a finire perché (questo si spera che almeno lo abbiano capito tutti) tenere il denaro sotto il materasso è quasi peggio che metterlo nei bond Cirio.
Ed ecco allora che le banche ringraziano per il lavoro svolto. Qualcosa infatti è sfuggito agli autori di Report.
Sono infatti proprio le banche che hanno una gran voglia di disfarsi dei loro stessi fondi, per far traghettare il risparmio in altri prodotti per loro più lucrosi (come gestioni patrimoniali, polizze, prodotti strutturati vari, ecc), chiamati con i nomi più curiosi e rassicuranti, come il "Capitale Subito" del Credem, messo prontamente alla berlina dalla trasmissione. Tanto per fare un esempio, tempo fa ho accompagnato in incognito una mia cliente nella filiale di uno dei grandi gruppi bancari del paese. La signora aveva dei fondi che gli erano stati venduti un paio d'anni prima. Era stata convocata per fare un'operazione "vantaggiosa". L'invito era di vendere tutti i fondi perché, parole testuali, "erano vecchi e ingessati", mentre ora c'erano dei "prodotti più dinamici". Guarda caso il prodotto "più dinamico" era una polizza che investiva nello stesso gruppo di fondi posseduti in precedenza, che però costava il doppio, aveva un bel nome, e non si faceva mancare neanche dei bei vincoli.
Morale: per quanto spesso inefficienti i fondi sono in realtà ancora un baluardo nella tutela del piccolo risparmiatore. Demolirli senza insegnare al cliente ad usare le non troppo numerose alternative, non lo aiuta a migliorare la sua salute finanziaria.
Anche l'accusa alle Poste di non far più sottoscrivere i buoni fruttiferi, è solo in parte condivisibile. I buoni postali sono prodotti particolari che non rispondono certo all'esigenza di tutti, ne sono adatti per la totalità del patrimonio di un risparmiatore (ma certamente in pochissimi hanno bisogno di tutto quello che propina la Posta ultimamente).
Una trasmissione certo non può fare tutto, ed il tentativo di Report è comunque encomiabile, anche se migliorabile. Si deve smetterla però di buttarla sul paternalistico, aspettandosi troppo dalle autorità. L'America da questo punto di vista funziona molto meglio, ma perché è l'America, con i suoi 200 anni di democrazia, di trasparenza, di educazione al mercato. Tanto per dirne una sulla loro esperienza, come ho fatto notare in un precedente articolo, prodotti stile My Way e 4You oltre oceano erano in voga, e condannati, addirittura già negli anni venti.
La cultura finanziaria, insomma, va costruita un pezzo alla volta. L'ideale sarebbe stato fare seguire una seconda trasmissione del tipo "ieri, caro risparmiatore, ti ho detto dei pericoli che corri, oggi ti dico alcune cose da fare per difenderti". Purtroppo ci si ferma sempre al primo capitolo e non si finisce mai il discorso. Si continua poi a sostenere che le cose finanziarie "sono complicate" e che "tanto non ci si capisce nulla". Oltre a non essere vero, serve ha qualcosa questo lamento, se non a scoraggiare chiunque anche solo a iniziare a guardarci superficialmente alle "cose finanziarie", e quindi a peggiorare la situazione?









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