Pubblicato il 7 luglio 2004 su La Voce di Romagna
in prima pagina
di Simone Mariotti
Dato che l'estate avanza, e che con il caldo cresce anche nei
nostri sogni la voglia di esotico, riempirò lo spazio di questi primi
due mercoledì di luglio con argomenti di sapore tropicale. Quello di
oggi riguarda il fascinoso mistero di un certo tipo di strumenti finanziari,
sempre più pericolosamente di moda. La settimana prossima omaggerò
invece il grande Capo di un mondo molto lontano dal nostro.
Circa un anno fa stavo finendo di scrivere un libro, "Liberi si Nasce",
la cui prima parte consisteva di un'ampia panoramica sulle grandi speculazioni
finanziarie che si sono succedute nei secoli. Giunto ai giorni nostri, passata
la novità della bolla internet, dovevo provare a determinare quale sarebbe
stata la nuova moda che avrebbe affascinato gli investitori di domani. Riporto
dal testo del libro:
"Ma quale sarà il prossimo evento di massa? Forse gli immobili,
ma sarebbe un fatto ciclico, idem per l'oro. Chissà, forse toccherà
agli ormai mitici hedge fund. In realtà più che di una grande
bolla speculativa si tratterà probabilmente di una grande disillusione,
e con questo siamo già a buon punto.
Strumenti affascinanti, ai quali tutto è permesso, germogliati tra le
Isole Cayman, Bahamas e Bermuda, legati a nomi leggendari della finanza mondiale
come George Soros, creatore del Quantum Fund, e Julian Robertson, con l'altrettanto
celebre Tiger Fund, hanno visto un notevole sviluppo negli ultimi anni fino
a raggiungere, a livello globale, la straordinaria cifra (per essere un prodotto
super esclusivo) di 600 miliardi di dollari (dati a giugno 2003).
Fondi dai rendimenti spesso stratosferici e capaci, grazie alla loro "libertà
naturale" e al meglio delle capacità gestionali disponibili sulla
piazza, di performare in modo eccellente sia col bello che col cattivo tempo,
si sono fatti un tetra fama che li dipinge come responsabili dei cicli ribassisti,
rovina valute, profittatori delle debolezze altrui: insomma, dei veri cattivi
soggetti, di quelli che rubano ai poveri per dare ai ricchi.
La realtà degli hedge fund è molto più complessa e diversa
da quello che sembra. Sono prodotti solitamente di piccole dimensioni, mentre
tutti pensano siano colossi capaci di distruggere intere economie; invece, eccettuati
rari casi di fondi particolari, chiamati global macro, il potere degli hedge
fund è abbastanza ininfluente a livello complessivo. Hanno una vita abbastanza
breve, che solitamente va dai 5 ai 10 anni, e molti di questi sono anche meno
volatili dei fondi comuni ordinari; finché non si sbaglia o qualcosa
va storto e allora in quel caso recuperare la perdita è difficilissimo
e spesso è meglio chiudere il fondo. Di qui la loro fama di rischiosità,
ma anche la loro effettiva capacità di guadagnare sempre. C'è
solo un problema: se è vero che qualcuno può guadagnare sempre,
condizione necessaria è che sia un affare solo per pochi. Insomma, se
paradossalmente tutti i fondi comuni diventassero degli hedge fund contro chi
vincerebbero la partita? Questo è un po' quello che è successo
negli ultimi due anni.
Tutte le società stanno lanciando strumenti che chiamano "investimenti
alternativi" (in Italia ciò avviene soprattutto attraverso dei fondi
di hedge fund) con promesse allettanti di rendimenti a doppia cifra e guadagni
sicuri, "alternativi" sia all'azionario, recentemente così
deludente, che ai magri interessi dei BOT. Un discreto esercito di gestori di
fondi comuni ha lasciato la casa madre per trasferirsi a Londra a fondare il
proprio hedge. Così, quel gruppetto di uomini che anni fa costituiva
la crema dei gestori di portafoglio, oggi è un dolce un po' più
allungato."
La conferma alle mie parole è arrivata esattamente un anno dopo, quando
già da tempo le performance di questi fondi facevano sentire il loro
fiato corto. Su Il Sole 24 Ore di un mesetto fa, leggo la cronaca di un convegno
milanese organizzato da Borsa Italia sullo spumeggiante mondo degli hedge fund.
Il titolo del servizio non lasciava presagire nulla di rassicurante: "Hedge
Fund: è allarme boom". Uno dei relatori, un pioniere del settore
in america, Michael Steinhardt, addirittura sosteneva: "è affluito
così tanto denaro che potrebbe avvenire un crash. C'è sempre più
inesperienza tra i money manager e sempre meno correlazione tra la remunerazione
dei gestori e le performance".
Eppure in Italia siamo in pieno boom, ed un fiume di denaro proveniente dalle
tasche dei risparmiatori speranzosi è andato ad arricchire le casse di
molti fondi hedge (tutti pomposamente definiti "Pinco Pallino Alternative
Investment", alla faccia dell'originalità e dell'alternativa!).
Da noi poi, attraverso l'inserimento degli hedge all'interno di polizze e prodotti
strutturati vari, si è trovato il modo di aggirare la norma che imponeva
investimenti minimi di 500 mila euro per fondo, voluta dal legislatore per porre
una barriera agli sprovveduti che si volessero avventurare in questi fondi speculativi.
La grande fortuna di questi fondi, così come in tante altre forme di
investimento, sta nella loro scarsissima trasparenza, un po' come per gli immobili,
e nella distorta percezione dei dati. Vengono pubblicate solo le performance
di chi ha fatto numeri fenomenali, tralasciando di menzionare la marea di fondi
hedge che ogni anno chiude i battenti per pesanti perdite, circa il 10-20%,
un'enormità; poi ci sono tutti quelli che non comunicano la performance
perché negativa (e nessuno glielo può imporre), senza contare
le diffusissime meteore che, vinta la loro scommessa su un particolare mercato,
non riescono più regalare alcunché ai sottoscrittori, e dopo un
po' anche loro tirano giù la saracinesca.
Insomma, di George Soros ce n'è uno, (quasi) tutti gli altri son …!