Pubblicato il 5 maggio 2004 su La Voce di Romagna
in prima pagina
di Simone Mariotti
"Il problema principale dell'investitore - ed anche
il suo peggior nemico - è probabile che sia egli stesso"
Benjamin Graham
Con questa citazione di Graham (il padre della moderna analisi
finanziaria) iniziava uno dei più celebri studi sul comportamento degli
investitori privati che siano mai stati scritti, uscito nell'aprile del 2000
nella più autorevole rivista del settore (il Journal of Finance). Il
titolo del paper, scritto a 4 mani da T. Odean e B. Barber, lasciava poco spazio
alle interpretazioni: "Il trading è pericoloso per la tua salute".
Senza stare ad entrare in dettagli tecnici, il succo della questione è
facilmente spiegabile: movimentare troppo un portafoglio di titoli (e, a maggior
ragione, di fondi) è controproducente: costa troppo e si rischiano di
perdere molti treni. Non so quante decine di articoli ho collezionato (sia specialistici
che non), il cui messaggio agli investitori, e anche ai professionisti, era
sempre lo stesso: calmatevi e non credete di poter agire da maghi della finanza,
soprattutto oggi in cui una rilevantissima porzione del mercato è in
mano ai grandi investitori istituzionali (come fondi pensione e fondi comuni).
Ma all'uomo della strada questo concetto proprio non piace.
Primavera 2001. Un mio cliente (un facoltoso imprenditore ferrarese dal patrimonio
milionario, che chiameremo Mario) mi chiede di dare un'occhiata anche ad alcuni
suoi investimenti mantenuti presso una banca della sua città, "improvvisa
orfana" del vecchio operatore di borsa. D'accordo con i colleghi emiliani,
decidiamo per un pacchetto di fondi e titoli, divisi tra un 30% azionario e
un 70% obbligazionario. Presso la mia banca d'investimento il cliente ha una
posizione simile. Poche settimane dopo, arriva nella filiale della banca di
Ferrara un nuovo operatore che sembra tranquillizzare il mio cliente sulla cura
del suo denaro. Gli anni passano e mi accorgo che con sempre maggior frequenza
Mario mi chiede lumi sulla mia movimentazione del portafoglio, che a lui pare
un po' troppo statica. "Non ci vorrebbe un po' più di dinamismo"?
Dinamismo; parola affascinante, coinvolgente. In un mondo frenetico come il
nostro, più di un comandamento. Da me invece regna una salutare flemma;
solo pochi, noiosi spostamenti, uno o due all'anno: qualche consolidamento,
ribilanciamenti (pochi), posizioni su valute (con molta moderazione), poco altro.
Il collega ferrarese è invece un turbine. Dalle carte che Mario mi ha
portato di recente conto almeno 40 movimenti in meno di 36 mesi. Devo riconoscere
che non sono stati spostamenti dovuti all'avidità della banca: tutti
gratuiti, tutti ben documentati, con un buon livello di trasparenza, e buoni
prodotti utilizzati, anche se di un'unica società di gestione. Solo istinto,
fiuto, voglia di andare "oltre". Incuriosito ho provato a fare un
conto estremo: cosa sarebbe successo se tutto fosse stato lasciato così
com'era e dimenticato? La risposta forse la immaginate. Devo dire che di danni
non ne sono stati fatti, anche se una scelta meno estrema (né troppi
movimenti, né nessuno), e senza la presunzione di agire oggi con il senno
di poi, avrebbe portato migliori frutti e con meno rischi di commettere gravi
errori. Il collega, come detto, si è comportato in modo molto corretto,
ma quanti nel circo dei "maghi del trading" creano un girandola di
operazioni con lo scopo di produrre commissioni aggiuntive (specialmente per
quei clienti meno importanti e meno attenti di Mario), e creare confusione con
una miriade di numeri e conteggi in cui è difficile raccapezzarsi?
Eppure il fascino della movimentazione infinita non muore. Guai a pianificare,
a decidere di investire e poi lasciare che il tempo faccia il suo lavoro, compatibilmente
con il proprio patrimonio, con la propria saggezza (il che vuoi dire assennatezza
nell'assumersi rischi), sulla scia di maestri come Warren Buffet e Peter Lynch
(per 13 anni di fila il miglior gestore di fondi d'America), che hanno sempre
preferito la coerenza al frenetico tempismo del mordi e fuggi in borsa!
Lynch in suo celebre libro (One Up on Wall Street) ricordava, come "alla
fine del 1972, quando le azioni erano sul punto di crollare, l'ottimismo tra
gli analisti era ad un picco massimo, con solo il 15% degli advisors che si
dichiaravano ribassisti. All'inizio del rimbalzo nel 1974, il sentiment era
invece in un picco minimo, e il 65% degli advisors temeva che il peggio dovesse
ancora venire. Prima che il mercato tornasse al ribasso nel 1977, ancora una
volta prevaleva l'ottimismo, con solo il 10% di ribassisti. All'inizio del grande
mercato rialzista partito nel 1982, il 55% degli advisors erano pessimisti,
e poco prima del grande botto del 19 ottobre 1987, l'80% degli advisors erano
ancora rialzisti"
Nel 1975, il premio Nobel William Sharpe scrisse: "Si dice che i militari
siano generalmente ben preparati a combattere la guerra precedente. Un certo
numero di investitori che si dedica ad un market timing attivo sembra si stia
preparando per il mercato precedente. Sfortunatamente per i militari, la prossima
guerra potrà differire dall'ultima combattuta. E sfortunatamente per
gli investitori, il mercato di domani differirà da quello di ieri".
Negli ultimi tempi le cose non sono migliorate. Nel giugno 2002, poco prima
dell'inizio di uno dei peggiori trimestri per i mercati azionari dal 1987, un
articolo del Wall Street Journal titolava: "Uscire dalle borse? Non ora
sarebbe il momento peggiore", e un sondaggio della celebre società
di rating Morningstar di inizio luglio, evidenziava come il 70% dei gestori
si aspettasse una performance positiva nei 12 mesi successivi. Il 10 ottobre
2002 invece mi arrivò in posta una newsletter sempre da Morningstar in
cui si riferiva di un nuovo sondaggio tra i gestori italiani. L'incipit era:
"Peggiora il sentiment dei gestori italiani". Tre giorni dopo la notizia
le borse iniziarono a rialzare la testa, chiudendo sei settimane positive di
fila come non le si vedevano da tempo. A inizio dicembre, dopo i rialzi e poco
prima che il mercato tornasse a calare di nuovo, la ripetizione dello stesso
sondaggio faceva registrare un "Ottimismo dilagante" tra i gestori,
che a primavera invece, a guerra appena conclusa, erano "molto dubbiosi"
sulla ripresa, anche se il mercato sarebbe poi cresciuto del 30-40% sino ad
oggi. Per non parlare del cambio euro/dollaro che per la quasi totalità
degli analisti doveva già da tempo aver varcato la soglia di 1,30 (mentre
oggi è sotto 1,20). Forse ci arriverà più avanti, tutto
può essere: anche io sono sicuro che israeliani e palestinesi faranno
la pace, ma ho molti dubbi sul quando.