Pubblicato il 14 luglio 2004 su La Voce di Romagna
in prima pagina
di Simone Mariotti
Come anticipato la scorsa settimana, oggi mi occupo di un personaggio
"esotico" da noi assolutamente sconosciuto, ma che è stato
probabilmente il più grande fautore dello sviluppo di un intero continente,
nonché uno straordinario uomo di Stato. Dovevo scrivere questo articolo
già da un paio di mesi, ma tra elezioni e altre urgente, non avevo ancora
trovato il tempo di dare lo spazio che meritava alla notizia della scomparsa
di sir Ratu Kamisese Mara. Chi era costui?
Intanto precisiamo che Ratu significa qualcosa come "capo clan" o,
per il rispetto di cui godeva, sarebbe meglio "Don", senza però
nessuna possibilità di una deriva negativa del titolo. Non siamo infatti
in una provincia della Sicilia, bensì nelle meravigliose e lontanissime
isole Fiji.
Kamisese Mara fu quello che potremmo definire una specie di Altiero Spinelli
del Sud Pacifico, che prese in mano la politica estera non solo del suo arcipelago,
ma di un intero mondo insulare, tentando di dare una considerazione internazionale
ai tanti staterelli che iniziarono a delinearsi nel grande oceano dagli anni
sessanta in poi. Da questo punto di vista fu il massimo ispiratore e creatore
del South Pacific Forum, il primo passo verso la cooperazione, sul modello Europeo,
fatto dai più vasti complessi insulari del pianeta.
Aveva una sua saggezza di sapore antico, di uomo d'altri tempi, con una cultura
atipica frutto di uno straordinario intreccio tra la nobiltà tribale
in cui era nato e il rigore universitario di Oxford. Legato alla più
rigida tradizione quando si trovava nel microcosmo del suo atollo di provenienza
(tanto da accettare, e pretendere, che chi venisse in udienza da lui dovesse
farlo camminando in ginocchio secondo le antiche leggi), liberale e aperto al
mondo intero, quando si trovava al timone del suo Stato.
Elegante e diplomatico, ha saputo farsi rispettare da tutti i capi di Stato
del mondo, accordando l'uso degli strategici porti delle Fiji agli americani
con la stessa grazia con la quale altre volte glieli negava, riuscendo sempre
a resistere alla tentazione di cedere alle insistenti offerte sovietiche. Era
una di quelle personalità che lasciano il segno nelle storia di un paese,
non solo per averlo portato a dignità di nazione indipendente, ma per
aver dimostrato che all'ombra dei tropici, in quello che nonostante il mondo
globalizzato, internet, la televisione e via dicendo, resta nell'immaginario
collettivo solo un paradiso di palme, atolli e lagune blu, si poteva trovare
ben altro.
Il sud Pacifico infatti ha sempre rappresentato molto di più, e le Fiji
ne sono il prodotto più complesso. Geograficamente, e quindi culturalmente,
nascono dall'incrocio dei tre più grandi gruppi insulari del globo, la
Micronesia, la Melanesia e la Polinesia. Possedimento inglese, indipendente
dal 1970, la storia delle Fiji è abbastanza travagliata ed è stata
caratterizzata negli ultimi 150 anni dalla incredibilmente pacifica coesistenza
di due razze, quella melanesiana, originaria delle isole, e quella indiana,
portata dagli inglesi per lavorare le piantagioni di zucchero. Le due etnie
sono rimaste sempre separate, nella vita privata come in quella pubblica: agli
indiani il commercio e l'economia, ai nativi la direzione politica. Per 40 anni,
Kamisese Mara sin da prima dell'indipendenza delle Fiji fu l'artefice del mantenimento
questo pacifico miracolo, evitando che le sue isole subissero un destino travagliato
e violento come quello delle vicine Salomone.
Fece degli errori, ma seppe ammetterli scusandosi quasi subito (e non dopo trent'anni,
nello stile dei politici occidentali), incassando il perdono e la profonda stima
degli avversari. Il più grave fu l'aver accettato la Presidenza della
nuova Repubblica nata successivamente al colpo di stato dell'87, non soltanto
legittimando così il "fattaccio", ma riconoscendo anche una
nuova costituzione che assegnava ingiustamente ai figiani la maggioranza dei
seggi del Parlamento. Ma non fu un colpo di stato cruento. Eppure i presupposti
per una deriva violenta c'erano tutti: un paese tropicale, un militare che vuole
salire al potere, uno scontro tra etnie, una di queste (quella figiana) che
nei secoli passati si era distinta per la sua ferocia (pare siano stati i più
crudeli cannibali tanto che facevano assaggiare il lobo delle proprie orecchie
alle persone immerse nel pentolone per verificare la cottura). Finì invece
con una scazzottata in stile Bud Spencer/Terence Hill: nessun morto, nessun
ferito, qualche livido.
Ratu Mara era stato bravo anche in questo ed aveva educato bene il suo popolo.
In effetti c'era sempre stato grande rispetto tra le fazioni e addirittura,
quando gli indiani vinsero le loro prime elezioni nel '77, non riuscirono a
trovare altri che lui per far si che il paese potesse continuare nella sua strada
di rinnovamento, lui, capo tribale della fazione opposta, arrivato al potere
per diritto ereditario.
Dopo 40 anni di carriera, amareggiatissimo, fu deposto nel 2000 da un altro
"colpo di stato", ancora meno sanguinoso del precedente, che però
non intaccò la sua immagine carismatica, né la sua influenza.
Dovette però riconsegnare le sue isole in mano ai tanti piccoli politicanti
che nel mondo frenetico di oggi sono finiti al governo di molti stati minori
del mondo e che hanno trasformato, con grande colpa della parte più ricca
del pianeta, che ne ha ispirato le cattive abitudini, il sogno delle grandi
Nazioni Unite globali in una fiera commerciale del "chi offre di più
per il mio voto".
Per tutti quelli lontani dall'universo anglosassone (e anche per molti di loro),
dalla interessante visione globale del Commonwealth (di cui le Fiji sono parte),
sir Ratu Kamisese Mara resterà uno sconosciuto, né ci sarà
spazio per lui nei libri di storia, già sovraffollati del nostro sempre
più trascurato passato.
Dalle nostre parti, resteremo occupati ad incensare un qualsiasi telepredicatore
di turno, timorosi nel provare ad imparare da chi viene da un'esperienza così
lontana dalla nostra. E, saccenti come al solito, sbaglieremo.