Nella sfida globale vince la qualità
Pubblicato il 3 maggio 2007 su La Voce di Romagna in prima pagina

di Simone Mariotti

Nelle ultime settimane abbiamo discusso di protezionismo e di come questo modo di concepire la difesa dell'industria di un certo paese sia nel medio lungo termine più dannoso che utile.
La battaglia per la sopravvivenza nell'industria globale di oggi si deve allora combattere su di un altro terreno, quello della qualità e delle regole.
Le considerazioni delle puntate precedenti le avevo in parte tratte da un mio libro sull'imprenditoria locale, "Riminindustria", edito pochi mesi fa dall'API (Associazione Piccole e Medie Industrie). Il volume comprendeva anche alcune interviste ad imprenditori del nostro territorio. Vi voglio riproporre una parte del mio colloquio con Paolo Terenzi, presidente della "Cereria Terenzi" di San Giovanni in Marignano, perché emblematica da molti punti di vista. Terenzi dirige la più grande cereria d'Europa ed è il leader italiano e europeo in alcuni segmenti del suo mercato, come quello delle candeline da pasticceria. Ma ha anche una visione rivolta alla continua innovazione, alla ricerca, alla qualità. Elementi che faranno sempre più la differenza, soprattutto per le piccole imprese. Ma leggiamo una parte dell'intervista.
Avete partnership importanti come Ferretti, Diesel, Disney. In cosa consistono queste collaborazioni?
Nel caso di Disney si tratta di un'operazione di licensing vera e propria, produciamo prodotti con la loro licenza; nel caso di altre realtà invece, come Diesel, Ferretti o Swatch le attività sono rivolte o al promozionale, cioè alla comunicazione del marchio e del brand attraverso un gadget, o alla oggettistica di cui poi noi ci occupiamo della realizzazione dell'idea. L'aspetto fondamentale di queste cose è che la scelta è fatta su di un prodotto italiano invece che su uno solitamente di appannaggio dei paesi asiatici a basso costo. Con noi invece prevale la scelta di associare ad un marchio prestigioso anche un regalo prestigioso, made in Italy. E le possibilità di sviluppo di queste cose sono tantissime, e noi tocchiamo diversi settori, da Capitalia a Telefono Azzurro.
Chi sono i vostri concorrenti più temibili?
I concorrenti fondamentalmente sono tutti temibili, e bisogna rispettarli. Noi abbiamo un problema dovuto ad un buco legislativo. In realtà se la concorrenza fosse regolamentata da leggi chiare non avremmo particolari preoccupazioni, anche perché la nostra azienda è diversificata in modo tale nelle sue produzioni (candele, profumi d'ambiente, accessori ecc.) da non avere un concorrente unico. Per i grandi volumi che riescono a produrre, i più temibili sono senz'altro i paesi asiatici, Cina in testa. Perché il loro modo di operare ci rende la vita difficile sul prezzo, non per la manodopera, che incide poco, circa il 18% (a parte le candele d'arredamento), ma per via delle materie prime che usano. Noi abbiamo fatto una scelta di qualità oramai da trent'anni, con una punta di diamante sulla ricerca. In Europa siamo oggi l'azienda più avanti sulla ricerca. E come primo obiettivo mettiamo la qualità, che deve essere sicurezza dell'ambiente, del consumatore e rispetto del territorio. In questa logica il nostro obiettivo lo si raggiunge con materie prime che siano sicure. Ma le materie prime sono controllate da un cartello mondiale, visto che dipendiamo dal petrolio, e non è che in Cina la paraffina costi meno che qua. Se aggiungiamo che il costo di trasporto dell'import va da 25 al 40%, saremmo competitivi rispetto ai Cinesi… se anche loro adottassero i sistemi di qualità che adottiamo noi. Non adottandoli, avendo candele che possono provocare anche la morte, il problema fondamentale resta quello legislativo. Stiamo cercando di sensibilizzare il legislatore su più fronti. Ultimamente siamo stati consulenti dei Carabinieri dei RIS (Reparti Investigazioni Scientifiche) di Parma su una partita di candele importate che ha causato gravi problemi di intossicazione ad una famiglia. E gli stessi RIS non avevano gli strumenti per cercare gli agenti di questo inquinamento. Ora il caso è nelle mani della magistratura.
Cosa ha significato per voi la menzione nel libro Soft economy di Ermete Realacci? Come vi siete incontrati?
L'incontro con Realacci è avvenuto proprio grazie ad API Rimini. Noi avevamo da poco ricevuto un riconoscimento dalla Camera di Commercio e dalla Regione sul progetto "Equal" per aver portato avanti l'idea dell'impatto zero e della solidarietà sociale in azienda nel rapporto con i nostri collaboratori. Realacci stava compiendo un giro per le aziende italiane, e in una delle sue visite nella provincia di Rimini, in seguito all'interessamento del direttore di API Rimini, è capitato anche da noi e abbiamo parlato a lungo del problema dell'inquinamento indoor creato dalle candele di bassa qualità. Grazie a questo successo siamo stati registrati nella Banca delle Qualità Italiane, dove sono iscritte circa 200 aziende. Per noi questa è una grande soddisfazione. E la qualità e la creatività nel mercato globale contano. Proprio di recente, infatti, abbiano concretizzato una grossa vendita di candele a Hong Kong, dopo anni di attacchi cinesi. [...]
Qual è il settore che ha più prospettive di crescita tra quelli nei quali siete impegnati? E quale mercato estero?
"La nostra sfida come obiettivo di mercato è la Cina. Già dal primo contatto abbiamo verificato il forte appeal del made in Italy, sotto tutti gli aspetti. Nelle condizioni di contratto con l'azienda di Hong Kong è stato richiesto specificamente, cosa che peraltro noi già facevamo, di porre la bandiera italiana su tutti i prodotti. Oltre a questo abbiamo dei progetti di espansione per il Nord America e i paesi scandinavi, perché anche lì, passata l'isteria dell'importazione selvaggia dei prodotti a basso prezzo c'è una fascia di clientela che non è più una nicchia e che ha un reddito sufficientemente elevato per comperare il bello e il sano. Il mercato italiano invece è un po' stanco, anche se in questi anni di crisi abbiamo esteso la nostra base di clientela. Ad ogni modo, la valorizzazione dell'eccellenza e del made in Italy e il mantenere il livello della qualità credo siano le uniche risposte che si possano dare sia per penetrare nei mercati asiatici, ma anche per mantenere quello italiano. Pensare di contrastare gli asiatici sul prezzo è un suicidio. Sui prodotti l'assortimento è ben equilibrato ed è bene che così resti. Cito solo un caso, quello da cui siamo partiti: le candele da compleanno. Negli ultimi anni, soprattutto nel 2004 e 2005, il settore ha subito attacchi violenti dall'Asia e ci sono stati sottratti moltissimi clienti. Oggi con la stessa velocità ce li stiamo riconquistando. Chi ci ha abbandonato facendo la scelta dell'importazione, si è trovato con problemi di post vendita maggiori di quelli che potevano essere i vantaggi sul prezzo. [...] L'impresa italiana negli ultimi anni ha smesso di investire su sé stessa. Tutti questi capitali personali che vengono sottratti dall'azienda per arricchire le pance… la cultura della rendita… ecco che allora si smette di credere in quello che si fa; si raggiunge un certo benessere ed inizia la paura di perderlo. E questo porta a spegnersi. Un'azienda quando si ferma torna indietro, non esiste un'azienda che possa pensare di restare sul mercato se non continua ad investire. [...].
Come ha capito da tempo Paolo Terenzi, come sanno molti imprenditori italiani, i paesi emergenti fanno paura solo se ci si confronta con loro sul territorio della bassa qualità e del basso prezzo.
Vero è che, specialmente in Italia, più che l'arrivo di qualche gruppo estero, che magari si porterebbe con sé una sana iniezione di capitale fresco (vedi le vicende Telecom, Autostrade, Alitalia) ingrediente che manca da tempo alla nostra economia, sono ben altri i pericoli che incombono sulla salute delle imprese e frenano le loro potenzialità.
Tra le travi più pesanti inserite negli ingranaggi del nostro sistema, ci sono le mancate liberalizzazioni, non tanto quelle su taxi e aspirine (comunque necessarie), quanto nei mercati strategici come quelli dell'energia, del credito e delle grandi professioni. Il peso di ordini e corporazioni caratterizzati da strutture antiquate e dei monopoli pubblici, che sono stati malamente mutati in monopoli privati, gravano soprattutto sulla PMI, sulla quale sono scaricati i costi delle rendite che ingabbiano il paese sotto forma di tariffe più elevate e prestazioni meno efficienti dovute alla cronica mancanza di concorrenza. A tutto ciò va aggiunto un sistema del commercio imbrigliato e poca flessibilità del lavoro, con l'articolo 18 dello statuto dei lavoratori che ancora rappresenta l'unica eccezione in un mercato del lavoro europeo molto più libero. Ma su questo hanno gettato la spugna tutti, destta, sinistra e industriali.








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