Il protezionismo economico provoca solo dei danni
Pubblicato il 18 aprile 2007 su La Voce di Romagna in prima pagina

di Simone Mariotti

Durante il boom giapponese di fine anni ottanta, complice anche un dollaro tenuto forzatamente basso contro lo yen, gli Stati Uniti furono terra di conquista da parte dei signori del Sol Levante. Il pericolo giallo era in agguato! Lo shopping nipponico era intenso e finirono in mano giapponese il Rokefeller Centre, la Columbia Picture e tanti altri gioielli simbolo dell'America. Gli yankee lasciarono fare, "è il mercato, bellezza!". Ebbero ragione. I "gioielli" tornarono a casa pochi anni dopo, non appena il Giappone entrò in crisi, ricomprati per di più a prezzi decisamente inferiori.
Da noi invece gli americani se la sono già svignata da Telecom. Sono rimasti i Messicani: tra sudamericani ci si intende meglio. Che pena. Eppure la storia dice altro.
Dall'atto unilaterale di sir Robert Peel, che nel 1846 abolì le Corn Laws (i dazi sull'importazione di grano elevati nel 1815), all'opera dell'economista indiano Jagdish Bhagwati, forse il più grande studioso di globalizzazione, secondo il quale le barriere commerciali danneggiano soprattutto quello stato che decide di applicarle con più vigore, la sostanziale fallacia del protezionismo è una delle più provate leggi nella storia dell'uomo, ma ancora oggi il fascino e l'illusoria sicurezza che i dazi offrono ai deboli, sono ben lungi dall'essere spariti. E di esempi non ne mancano.
Già Adam Smith ne La ricchezza delle nazioni (libro IV, cap. III) aveva ben illustrato i danni delle limitazioni commerciali tra due stati: "Prima dell'inizio della guerra in corso, un dazio del 75% poteva essere considerato il dazio più basso cui fosse soggetta la maggior parte delle merci prodotte o lavorate in Francia. Ma per la maggior parte delle merci questi dazi equivalgono a proibizione. Credo che i francesi abbiano a loro volta trattato i nostri prodotti altrettanto duramente, sebbene non sia bene a conoscenza delle particolari misure impositive. Queste limitazioni reciproche hanno quasi fatto cessare il commercio diretto tra le due nazioni, e i contrabbandieri sono ora i principali importatori di sia di merci britanniche in Francia che di merci francesi in Gran Bretagna".
Qualche riga dopo Smith, ricordava come i piccoli stati europei, Olanda in testa, svolgessero quel ruolo di cuscinetto che alla fine del ventesimo secolo sarebbe spettato ai paesi asiatici. Ed anche nel '700 la libertà negli scambi avrebbe arricchito di più proprio chi i dazi invece li applicava. Smith scrisse: "Uno dei più importanti rami del commercio olandese consiste attualmente nel trasporto di merci francesi agli altri paesi europei. Anche una parte del vino francese che si beve in Gran Bretagna è importata clandestinamente dall'Olanda e dalla Zelanda. Se esistesse libero scambio tra la Francia e l'Inghilterra, o se le merci francesi potessero venir importate soggette a dazi uguali a quelle delle altre nazioni europee da restituire all'esportazione, l'Inghilterra potrebbe avere una quota di questo commercio che tanto avvantaggia l'Olanda".
Traslando le sue parole su un altro mercato ai nostri tempi, Smith aveva capito con 200 anni di anticipo che il mercato del tessile contingentato a quote di produzione come quelle previste dall'accordo Multifibre del 1974 (accordo che doveva durare cinque anni, ma che è stato prolungato per trenta) non avrebbe che provocato distorsioni e fossilizzato i sistemi economici improduttivi. E se nell'allora mercato del vino era l'Olanda a trarre beneficio, nel tessile "ingabbiato" del XX secolo il ruolo è stato giocato da Tailandia, Bangladesh, Hong Kong, ecc, che ricevevano dalla Cina e rigiravano in occidente.
Ma le guerre commerciali affondano le loro origini nella notte dei tempi, e invariabilmente chi ci ha sempre rimesso è il benessere generale, come non si stanca mai di ripetere Bhagwati.
Dovrebbero saperlo bene i francesi di oggi, che si ostinano a proteggere forsennatamente la loro agricoltura. Una delle ragioni che contribuirono allo scoppio della rivoluzione francese fu infatti il rifiuto del Parlamento di considerare alcune proposte di Robert-Jacques Turgot, ministro di Luigi XVI, fisiocratico e liberista convinto, che avrebbero snellito la struttura amministrativa statale ed abolito alcune delle leggi economicamente più oppressive che difendevano posizioni di rendita, privilegi e corporazioni. Tra queste un posto non secondario occupavano quelle che impedivano la libera circolazione dei grani (realizzata solo internamente alla Francia) e che mantenevano dazi che ostacolavano la produzione. Ma l'Ancien Régime non voleva mollare la presa e finì per distruggere sé stesso.
Successivamente anche Napoleone fece un errore di strategia commerciale quando cercò di isolare gli inglesi con il "blocco continentale" (1806), con l'unico risultato di irritare i paesi satelliti della Francia, togliere una fonte di approvvigionamento (quella americana, controllata da inglesi e spagnoli) di materie prime per l'industria francese e, alla fine, indebolire il suo stesso impero.
La seconda metà dell'ottocento vide la guerra commerciale sulle carni tra Italia e Francia ed il blocco doganale della Germania di Bismark del 1878. Il nemico globale di allora erano gli Stati Uniti, i veri "cinesi" del diciannovesimo secolo. E quello che terrorizzava gli europei erano i cereali e gli altri prodotti agricoli provenienti d'oltreoceano, venduti a prezzi stracciati. I costi dei trasporti si erano notevolmente abbassati e le merci in arrivo dagli USA facevano paura al mercato europeo che, tra l'altro, a differenza di quello americano, era suddiviso in tanti mercati ed altrettante barriere doganali che ne frenavano lo sviluppo.
Limitando gli scambi e contribuendo a tenere alti i prezzi, il protezionismo europeo ebbe un altro effetto sgradevole: manteneva intatto il potere dei redditieri e dei latifondisti, non certo un toccasana per il sistema produttivo.
Successivamente si aprì una finestra di libertà in quella che fu la prima globalizzazione della storia, nel periodo a cavallo tra otto e novecento quando i gli europei si sfogavano con l'espansione imperialista. Sino a che il mondo ebbe spazio a sufficienza. Poi il collasso del 1914, ed allora tutti fecero un enorme passo indietro: economico e di civiltà. Ricordate sempre le parole di un altro grande liberale Frederic Bastiat: "Se attraverso un confine non passeranno le merci, vi passeranno i cannoni".
Continueremo la storia la prossima settimana.







Questo Articolo proviene da Simone Mariotti
http://www.simonemariotti.com

L'URL per questa storia è:
http://www.simonemariotti.com/modules.php?name=News&file=article&sid=136