Le regole prima dei passaporti
Pubblicato l'11 aprile 2007 su La Voce di Romagna in prima pagina

di Simone Mariotti

Gli americani si vogliono comperare Telecom? Magari. E speriamo che qualcun'altro si prenda pure Alitalia. Non mi interessa se il timone di comando è in mani straniere. Non sono un nazionalista ideologico, ma un cittadino che vorrebbe che le imprese funzionassero a dovere entro un rigoroso regime di regole (soprattutto ambientali) e concorrenza. Regole e concorrenza, due parole dal significato oscuro.
In realtà non c'è molto altro che conti in un sistema di mercato. Che tu sia una compagnia aerea, un gestore telefonico o autostradale, l'importante è che ci sia uno Stato efficiente che stabilisca delle regole, variabili a seconda dei settori, e che garantisca un sistema di concorrenza. Il resto lo deve fare il mercato. Qualche no global a queste parole potrebbe scandalizzarsi e vedere l'ennesimo elogio del dio mercato che tutto creda e distrugge. Dio me ne scampi.
Sono il primo a riconoscere che il mercato lasciato a se stesso può produrre anche disastri. Ma il problema grave, che gli anti-mercato fanno finta di non riconoscere, è che è la mancanza di regole il nostro principale problema. Una mancanza che in questa parte di mondo ha sempre fatto comodo a molti. Destra e sinistra si sono sempre rese disponibili a chiudersi tutti e quattro gli occhi sulle regole per favorire questo o quell'amico, dalle televisioni alle municipalizzate come Hera, privatizzate, ma in regime di monopolio senza regole che possano essere fatte rispettare in mood chiaro. E chissà perché i nostri colossi energetici riescono a fare gli affari più grossi là dove regna il "capitalismo" delle relazioni, come la Russia e i paesi dell'est, non proprio la patria dell'efficienza di mercato.
Ma se arriva lo straniero forse rompe i giochi. Ed ecco che, come scusa per mantenere lo status quo, si invocano drammi popolari, dipinto di un Italia decadente frutto di un neo-protezionismo arrembante che mira a proteggere solo gli interessi di pochi. Se un messicano di compera una compagnia telefonica, non è che la mette dentro un uovo di pasqua e la spedisce in Messico. Sapete che accade? La fa funzionare, forse senza il problema di compiacere qualche politico locale o un sindacato, sempre che ci sia qualcuno che lo controlla. Idem per la flotta aerea.
Ci scontra su Telecom, ma nessuno dice nulla dei fondi di Private Equity che si stanno comperando nell'"ombra" tanti pezzi dell'industria italiana, dalla Galbani all'olio Carapelli, dagli yacht della Ferretti a Seat Pagine Gialle, solo per ricordare quelli di più vecchi. Ed i vari Blacksotne e KKr sono sempre lì per fare nuove mosse.
Temere l'arrivo dei grandi colossi dal resto del mondo è la regola anche per l'Europa continentale (gli inglesi sono sempre stati più svegli). La vicenda di Lakshmi Mittal, il magnate indiano re dell'acciaio, a capo del più grande impero siderurgico mondiale, che a gennaio 2006 ha lanciato un'Opa su Arcelor (il n°1 dell'acciaio europeo), è esemplare.
"Ci opporremo con tutti i mezzi necessari" aveva dichiarato il primo ministro lussemburghese Jean-Claude Juncker. E anche Francia e Spagna erano sul piede di guerra.
L'offerta di Mittal era di pagare le azioni Arcelor oltre il 30% in più del loro prezzo di mercato (40,37 euro per azione per un totale cash pari a quasi 27 miliardi di euro), ma fu ugualmente osteggiata in tutti i modi dai governi europei interessati. Ma alla fine hanno dovuto arrendersi alla realtà dei fatti: l'indiano era quello che dava le maggiori garanzie di stabilità per il futuro. E la battaglia dell'acciaio si è conclusa con la vittoria dei mercati e degli azionisti che hanno visto raddoppiare il valore dei loro titoli, mentre è probabile che la fusione porti ad una razionalizzazione del settore e ad una maggiore stabilità dei prezzi dell'acciaio.
Ma i mal di pancia sono rimasti, perché l'acciaio è un simbolo della storia e dell'economia mondiale. Dall'acciaio si sono formate le grandi economie capitaliste, l'acciaio è stata la fucina dello sviluppo e quello europeo in pochi volevano vederlo in mani indiane.
Però quella di Mittal, con impianti in 14 paesi, era la più globale delle società siderurgiche, e lui, il terzo uomo più ricco del mondo, partito con una piccola azienda di famiglia con la quale vent'anni fa iniziò una lunga serie di acquisizioni, è la globalizzazione personificata.
I tentativi dei governi sono stati delle mosse economicamente giuste? O solo colpi di coda di un protezionismo alla lunga perdente?
Il bello è che l'Europa va avanti alla grande, nonostante queste "invasione barbariche", anzi cresce. Per la prima volta da quando esistono i mercati finanziari moderni, la capitalizzazione delle borse europee (secondo gli indici Datastream, ma non secondo i più diffusi MCSI) ha superato quella degli Stati Uniti, complice la forte rivalutazione dell'euro. E per la prima volta nella storia nell'elenco delle più grandi 30 multinazionali per fatturato (classifica redatta dalla rivista americana Fortune) sono più le europee (16) che le americane (11, e 2 giapponesi, 1 cinese).
Ma il protezionismo non molla, e nel frattempo ci si dimentica che quello che conta per una bella corsa sono le regole su come vanno costruite le auto e su cosa si può fare in pista, non la nazionalità dei piloti. Ne riparleremo la settimana prossima, attraverso una visione storica.







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