Eurotunnel, Frejus, TRC: nomi diversi, stessi sprechi
Pubblicato il 4 aprile 2007 su La Voce di Romagna in prima pagina

di Simone Mariotti

Qualche mese fa avevo ricordato ai lettori la disastrosa vicenda dell'affaire Eurotunnel, la società anglofrancese nata per la realizzazione e gestione del tunnel ferroviario sotto la Manica, il "grande buco nero", come è stato soprannominato. Aperto nel 1994, pensato un decennio prima, il "buco" è stato una delle vittime più illustri del grande male che affligge tutte le grandi opere trasportistiche: grande sottovalutazione dei costi di realizzazione e gestione e grande sopravvalutazione del traffico.
Circa un anno fa la società rischiò il fallimento. Le azioni furono sospese dalle quotazioni ed iniziò una ristrutturazione del debito che si sta completando in questi giorni, ed il titolo è tornato ad essere trattato in borsa proprio la settimana scorsa.
Colgo l'occasione di questo nuovo inizio per la Manica, per tornare sulla questione di un altro tunnel, quello del Frejus (in Val di Susa) che ha quasi la certezza, se realizzato, di diventare il "grande buco nero italiano", e di un disastro annunciato come la TRC Riminese.
In un articolo uscito un paio di settimane fa su Il Sole 24 Ore, il professor Marco Ponti, ha riassunto gli aspetti più critici del progetto. C'è da dire che Ponti non è certo un ambientalista di professione né un sinistroide estremo. E' uno "sfacciato" ingegnere trasportista che se deve abbattere un albero per il progresso non ci pensa due volte a chiamare un boscaiolo.
Cosa ha scritto Ponti, e con lui gli economisti firmatari di un documento anti Tunnel disponibile sul sito www.lavoce.info? In soldoni, che costerà tanto, ma servirà a poco.
Innanzitutto i ritorni attesi (con le solite ottimistiche previsioni di traffico) saranno appena sufficienti a coprire i costi operativi, il che vuol dire che i contribuenti italiani dovranno tirare fuori circa 13 miliardi di euro (quota per la parte italiana) tutti di tasca loro. Anche i contributi europei infatti sono poca cosa.
Ma l'enigma più intrigante è quello che riguarda il perché si vuole fare quest'opera. A sentire i modernisti, quelli per cui qualsiasi grande opera va fatta punto e basta perché è il paese che lo chiede, è il futuro del nostro traffico merci ad essere minacciato. Lascio la parola direttamente a Ponti: "Traffico previsto. Le previsioni anteriori all'avvento delle compagnie aeree low-cost, indicano 12 treni ad alta velocità al giorno su una capacità di 300, e costruire un sistema con caratteristiche e costi ad alta velocità serve unicamente per il traffico passeggeri. Tuttavia, si sostiene che il progetto serve essenzialmente per il traffico merci. Il traffico ferroviario attuale è intorno ai 7 milioni di tonnellate annue, stabili o in diminuzione da un decennio. Usando le ottimistiche previsioni ufficiali si arriva a 30 milioni di tonnellate nel 2020. Senza considerare che in Francia i treni merci, non necessitando di velocità elevate, non possono viaggiare sulle linee TAV, vanificando ogni scenario di "rete europea ad alta velocità". Il traffico merci con la Spagna infine è servibile, a costi bassissimi e senza impatti ambientali, via mare, come già sta accadendo da anni. La saturazione della linea attuale sembra remota".
Buona parte del nocciolo della questione è qui: si fa un'opera colossale e costosissima spacciandola come indispensabile al futuro traffico merci, che sono però le ultime a necessitare dell'alta velocità.
Tutto questo non per essere contro la TAV, cioè tutto il sistema di trasporto veloce su rotaia, peraltro comunque costosissimo, ma solo sul tunnel.
Si può fare a questo punto un utile parallelo di inutilità con la nostra futura TRC. Se da una parte si tirano in ballo a sproposito le merci, da noi si rasenta il paradosso. Chiunque faccia un salto dalle parti di Rimini si rende presto conto che il vero problema della viabilità (per 9 mesi l'anno) riguarda soprattutto le direttrici monte-mare: la Marecchiese, le vie Coriano e Montescudo, la superstrada di San Marino, la via Emilia, più il traffico che arriva in zona fiera dalla statale e dall'autostrada.
Ora, come la viabilità riminese (cementificata nel suo disastro dalle varianti urbanistiche) possa trarre vantaggio da un nuovo sistema di trasporto su gomma, parallelo al mare in zona turistica, mentre l'inferno si consuma a monte, resta un mistero.
Cioè, se abito in città e lavoro fuori dalla cerchia urbana, cosa che riguarda la maggior parte dei lavoratori, o mi muovo tra le zone produttive della provincia, cioè se sono uno di quelli che il traffico lo crea veramente, a che mi serve avere un'altro pullman che costeggia il mare e che costa alla città una cifra spaventosa?
Ma si sa, un bel cantiere interminabile qualcuno che lo apprezzi (per quello che vale) lo si trova sempre; a Rimini, come altrove








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