Pubblicato il 30 giugno 2004 su La Voce di Romagna
in prima pagina
di Simone Mariotti
Oggi sono sicuramente in "conflitto di interessi".
Ma anche se per me questo è un giorno più speciale che per altri,
cercherò di coinvolgere tutti utilizzando questo spazio per celebrare
uno di quei personaggi che, da dietro le quinte, hanno contribuito non poco
alla diffusione nel mondo del nome della nostra città, inondando la riviera
con le loro idee.
Sarà anche un'occasione per fare un confronto tra il dinamismo dei primi
anni sessanta e le non sempre brillanti attuali politiche di sviluppo turistico:
dalla gestione della spiaggia, alla tristezza dell'aeroporto, al legame con
la terra e la cultura italiana.
Negli anni in cui sui colli nascevano locali che avrebbero fatto la storia della
nostra riviera, dal Paradiso al Marechiaro (altro che Turquoise!), e mentre
Fellini navigava tra La Dolce Vita e 8 ½, giunse a Rimini un fiorentino
cocciuto destinato a lasciare il segno. Aveva passato gli ultimi vent'anni a
fare il deus ex machina dello storico e lussuoso Hotel Helvezia di Firenze,
ancora oggi uno dei più belli d'Italia, punto d'incontro di artisti internazionali,
scrittori, nobili fiorentini. Il suo nome era Ugo Mariotti.
Era arrivato nel '57 dalla toscana per occuparsi delle public relations dell'elegante
Excelsior Savoia (demolito qualche anno fa, sigh!) che allora sottraeva la palma
di albergo più "in" della città al Grand Hotel, un po'
in difficoltà. Venti problematici anni erano infatti trascorsi da quando
il piccolo Fellini spiava i divi che si pavoneggiavano dalle sue terrazze, e
il nostro primo albergo si stava ancora faticosamente riprendendo dal lungo
coma in cui era caduto dal tempo della guerra, tanto che negli anni precedenti
la sua riapertura ('54) aveva rischiato di fare la stessa brutta fine del Kursaal.
Mariotti trascorse due brillanti stagioni da noi prima che un'offerta da Roma
lo allontanasse momentaneamente dalla Romagna.
Ma a Rimini si erano accorti di lui e qualcuno ne aveva parlato a Giuseppe Amati,
il notissimo tycoon scomparso lo scorso anno, che aveva deciso di entrare alla
grande nell'industria alberghiera. Un breve viaggio nella capitale, qualche
giorno per far incastrare le loro personalità, forti ma diversissime,
e l'accordo fu fatto.
Amati gli chiese di prendere in mano la gestione di quello che sarebbe diventato
un piccolo impero.
Fu così che nel 1960, sotto la scrupolosa direzione di un "vivace
piccolo poliglotta chiamato Ugo Mariotti", come lo definì il Sunday
Independent nel luglio di quell'anno, venne inaugurata una delle icone del nostro
sistema alberghiero, l'Ambasciatori Hotel, ai cui tavoli serviva anche un giovane
Gianni Fabbri. Di lì a poco sarebbe stata la volta dell'Ambasciatori
di Cervia e del Kursall, sempre a Rimini.
Non stava mai con le mani in mano. La stagione non era ancora finita che lui
partiva con la borsa sotto braccio, a zonzo per le capitali europee a vendere
la nostra spiaggia. Una volta organizzò un concorso da Harrods. Si presentò
al direttore autorizzandolo ad offrire dei buoni vacanza per i clienti che avessero
speso una certa cifra, ottenendo in cambio di poter esporre nel megastore londinese
un bel manifesto con la riviera adriatica ed i suoi alberghi.
Anche l'aeroporto, così malridotto oggi (come ben sanno tutti i lettori
di questo giornale), nei primi anni sessanta visse grazie a anche Mariotti uno
dei suoi momenti di gloria.
Una delle sue iniziative più brillanti fu infatti il bel colpo del 1961,
quando organizzò un pionieristico ponte aereo Rimini-Chicago. "Dear
American Vacationer"; iniziava così il benvenuto di Mariotti sul
depliant della Swissair che proponeva agli americani un tour europeo da favola:
17 giorni in cui Rimini faceva la parte del leone, accanto a località
ben più rinomate come Parigi, Venezia, Firenze, Roma. Atterrò
anche Miss Chicago che consegnò a Mariotti la bandiera della sua città,
mentre sul Corriere Lombardo si poteva leggere dell'innovativo collegamento
aereo.
Negli anni successivi la stagione turistica '63 non era andata gran che bene.
Ecco allora un'altra trovata: organizzare in tempi record il primo convegno
internazionale degli agenti di viaggio che lavoravano con l'Adriatico. A estate
non ancora conclusa gli agenti esteri, provenienti da decine di grandi città
europee, da Londra a Parigi, da Stoccolma a Monaco, ad Amsterdam, erano già
qui. Mariotti aveva organizzato, anche collegamenti con città d'arte
come Ravenna, Firenze e San Leo ricevendo dalle rispettive amministrazioni la
dovuta collaborazione.
I politici riminesi si distinsero invece per un lungimirante disinteresse. Nemo
profeta in patria. Avendo ignorato l'evento sino all'ultimo, a cose fatte pretendevano
che il merito dell'organizzazione fosse sottratto all'iniziativa dei privati.
L'unica cosa che l'amministrazione si era impegnata a fare era offrire un pranzo
di benvenuto, ma non se ne fece nulla.
Ho una lettera datata 21 settembre 1963 con la quale l'azienda di soggiorno
per la "Riviera di Rimini" (uno slogan tornato di moda) accusava Mariotti
di non aver smentito le notizie stampa che avevano evidenziato il lassismo dell'azienda
di soggiorno. Quindi per ripicca il pranzo promesso agli agenti stranieri non
lo avrebbero offerto all'Ambasciatori, come pattuito in precedenza, ma al ristorante
Nello al Mare (oggi Cavalieri-Mare), terreno "neutro". Ma lui se ne
infischiò e pur di avere la situazione sotto controllo nel "suo"
albergo, offrì lui stesso il pranzo a tutti gli invitati.
L'anno successivo Mariotti avrebbe lasciato la città e il secondo congresso
internazionale che avrebbe dovuto continuare il lavoro fatto dal primo raduno
non vide mai la luce, stessa sorte per il collegamento aereo.
Era la stessa miopia con la quale nel 1970 si rinviò il problema della
separazione della acque fognarie chiare da quelle scure "perché
ci sarebbero voluti trent'anni" si diceva; i cittadini del 2000 ringraziano
per la merda in mare che puntuale continua ad innaffiare il litorale ad ogni
pioggia.
Come tutti i cavalieri erranti non riusciva a stare fermo, soprattutto in una
città che si stava sempre più ammollicciando verso un turismo
pericolosamente di massa. Da anni infatti, dall'infamante demolizione del Kursaal
(1948; si veda il bellissimo resoconto che su Ariminum n°4-2003 ne fa Manlio
Masini), con la quale andò perduta anche una straordinaria collezione
fotografica sulla Rimini della belle epoque, l'amministrazione aveva deciso
di agire in modo tale da ispirare quel neologismo dal tristo significato, di
cui tutti avremmo fatto volentieri a meno: "riminizzare".
Nel '64, dicevamo, Mariotti aveva lasciato il gruppo Amati per mettersi in proprio.
Ma il grande nuovo albergo di 110 camere che aveva preso in gestione ebbe un
grave problema strutturale. A causa di un'infiltrazione, aveva ceduto l'ultimo
pilone da consolidare e si rendeva necessaria la rinuncia a un quarto delle
camere. Il sindaco Ceccaroni però non consentì l'avvio della ristrutturazione
e, contrariamente alla sua rinomata passione cementificatrice, con "insolita
rapidità" ne ordinò la completa demolizione. Amareggiato,
decise di prendere baracca e burattini, lasciando con rammarico una città
a cui aveva dato tanto (per mia fortuna, l'amore di una bella pittrice e un
lavoro in banca trattennero qui uno dei suoi figli).
L'amico Arpesella, altro grande protagonista dell'epoca, provò a trattenerlo
offrendogli la direzione del Grand Hotel, tornato nel frattempo in gran spolvero,
ma lui, ringraziando, fece il gran rifiuto. Lo attendeva però uno degli
splendori d'Italia: il mitico Plaza di Roma, di proprietà di quel Turilli,
presidente, allora, degli albergatori italiani. E poi a San Benedetto, nella
quale portò per la prima volta i turisti inglesi, organizzando anche
una storica partita di calcio tra i vecchi leoni d'Inghilterra e d'Italia.
Ma il calcio in qualche modo sarebbe entrato ancora nel suo futuro. Nel '68
lo troviamo infatti a Civitavecchia a dirigere il grande Sunbay Park Hotel,
in cui passava mezzo modo dello spettacolo e della politica. Per sfruttare al
meglio le potenzialità della spiaggia, aveva fatto arrivare da Rimini
sdrai e ombrelloni. Aveva anche fatto costruire un eliporto al proprietario,
tale Franco Sensi, l'insopportabile futuro patron della Roma calcio, con il
quale ovviamente non si poteva prima o poi non litigare, con tanto di denuncia
per danni morali e condanna (per Sensi).
Insomma, è stato così: viaggiatore, ideatore, propositore. Nel
suo periodo riminese consolidò la sua amicizia con Almerigo Semprini
(conosciuto a Firenze anni prima), il padre di quell'Embassy dirimpettaio dell'Ambasciatori,
con cui tanto collaborò in quegli anni d'oro, e che per una curiosa coincidenza
del destino proprio oggi va all'asta. Quell'Embassy da cui tutto nacque, a partire
dalla grande festa del '58 che celebrava il primo mezzo miliardo di Pino Amati.
C'era una volta una città, il suo Kursall, un aeroporto che visse i suoi
giorni di gloria; c'erano l'acqua pulita nel porto e gli zatteroni marini giustamente
rimpianti da Giuliano Bonizzato. E c'erano le persone che con Ugo Mariotti crearono
un pezzo di Rimini.
Lui per fortuna c'è ancora. E' tornato a Rimini con la moglie Lina (coetanea,
sempre con lui in tutte le sue avventure, e al loro 68° anno di matrimonio!),
guida la macchina ed è più in gamba che mai. Oggi compie 90 anni,
ed allora … BUON COMPLEANNO NONNO!
