Pubblicato il 5 aprile 2006 su La Voce di Romagna
in prima pagina
di Simone Mariotti
Oggi, a due giorni dalla fine di una "vivace" campagna
elettorale faremo luce su due concetti che paiono oscuri al mondo politico italiano
sia di destra che di sinistra: quello di "rendita" e quello di "bugia",
ed il termine "rendita finanziaria" in questi ultimi tempi ha avuto
a che fare con entrambi.
Cos'è una rendita? E' un reddito che ci arriva dalla semplice proprietà
di un bene o di una posizione di privilegio. E' qualcosa che non ha nulla a
che fare con la produttività, con la creazione di valore, col mercato,
col rischio, con la capacità di realizzare se stessi, con la libertà.
Un esempio l'ho fatto la settimana scorsa con una professione ultraprotetta,
il farmacista, che percepisce per se una rendita ingiusta. Un altro il tipo
di rendita, la più tipica, è quella immobiliare-terriera. Il denaro
pagato per l'affitto di un fondo o di un immobile arricchisce il redditiere
senza contribuire, se non in minima parte al processo produttivo e di crescita
del paese. Ed anzi, proprio per questo, sottraggono risorse al sistema, tanto
che alcuni economisti definiscono gli immobili "capitale morto".
Le cedole di un'obbligazione o i dividendi azionari sono una rendita? Ovviamente
no. Primo perchè connesso alla loro percezione c'è un notevole
elemento di rischio, totalmente assente nel caso di rendite (soprattutto in
quelle di posizione), secondo perché il denaro non va a finanziare un
privilegio, ma è prestato o investito in attività produttive,
che creano lavoro e contribuiscono allo sviluppo.
Non bisogna quindi parlare di rendite finanziarie, ma di redditi di capitale.
La politica nella sua ampia pusillanimità, continua a prendere fischi
per fiaschi, sia da un lato che dall'altro.
Da una certa sinistra si continuano ad evocare spettri neomarxisti sul potere
occulto delle, appunto, "rendite finanziarie". Da destra di sparano
idiozie sulla fuga di capitali e sui fantomatici disastri per i risparmiatori
che un'armonizzazione delle aliquote fiscali sui redditi da capitale comporterebbe.
Le balle qui fioccano copiose senza che i più comprendano la natura del
problema.
Il nostro sistema fiscale, non solo in campo finanziario, è piuttosto
mediocre ed offuscato ed un po' di chiarezza non guasterebbe, né un po'
di equità.
Come scriveva Francesco Giavazzi giorni fa: "il 10% più ricco delle
famiglie possiede il 40% di tutte le attività finanziarie; il 10% più
povero l'1,2%. Quando lo Stato tassa i cittadini più poveri per pagare
gli interessi sul debito pubblico preleva il 23% (l'aliquota minima sui redditi
da lavoro) e lo trasferisce per lo più ai ricchi, i quali, sugli interessi
che percepiscono, pagano solo il 12,5%". Un esempio lampante di questa
distorsione è il fatto che tale tassazione al 12,5% vale anche per i
top manager che vengono retribuiti con stock option, mentre tutti noi semplici
lavoratori subiamo un prelievo progressivo.
Ancora. Il problema veramente grave per il valore a lungo termine del nostro
debito pubblico non è la tassazione al 12,5 al 20, per larghissima parte
ininfluente su prezzi (visto che oltre l'80% del debito è in mano a soggetti
che non risentirebbero di tale modifica), ma la solidità dello Stato
e la sua capacità di far fronte agli impegni presi. Un aumento del rischio
paese farebbe perdere immediatamente valore al debito in modo ben più
doloroso che un sano ridisegno del sistema fiscale. Ed il sistema previdenziale
è la spada di Damocle più grossa sulla nostra testa.
Terzo aspetto. Se non si procede anche ad un inasprimento delle posizioni di
rendita, che oggi sono destinatarie del risparmio oltre alla finanza e alla
previdenza, non si farà che aumentare l'inefficienza del sistema Italia.
Cos'è più dannoso per il cittadino avere 50 euro l'anno in meno
nelle sue cedole o pagare 1000€ al mq in più per una casa? E quanti
di quei 50 euro tornerebbero moltiplicati nelle sue tasche sotto forma di farmaci
meno cari, di onorari notarili scontati (che oggi invece si pagano obbligatoriamente
anche in caso di passaggio di casa tra fratelli), di tariffe professionali,
bancarie e assicurative concorrenziali, di reti energetiche e servizi pubblici
gestiti non da monopolisti? Tutti interessi che il cittadino paga a caro prezzo
(altro che ICI!) e che il "liberale" Berlusconi si è ben guardato
dal toccare.
Iniziare ad abolire gli ordini è un primo passo, insufficiente certo,
ma è un primo passo per migliorare questo paese. Purtroppo a parte Giavazzi
ed Emma Bonino, sono in pochissimi ad inserirlo tra le priorità per il
paese.