Pubblicato l'1 marzo 2006 su La Voce di Romagna
in prima pagina
di Simone Mariotti
Lo confesso. Sono uno di quelli che per sei anni hanno vigliaccamente
strumentalizzato Luca Coscioni. Una di quelle bestie che prendono i malati e
li sbattono in piazza per sfruttarli. E' un ruolo che mi si addice, mi ci trovo
bene ed ho perseverato, non riesco a resistere. Pure se si tratta di un caro
amico come Lino Vici.
Conosco Lino esattamente dal 19 luglio 1970 visto che sono nato sotto la porta
di casa sua dove ancora oggi lui abita e dove ancora oggi abitano i miei nonni.
E ho conosciuto la sofferenza della sua malattia sin dal primo giorno, sapendo
che, terribile per tutti, era una grande sfida sopratutto per lui che era quello
che consideravo come l' "uomo della montagna", il padre del CAI riminese.
Se Luca Coscioni era un maratoneta, il Lino degli anni d'oro era un grande dello
sci di fondo, uno dei pochissimi in Italia che, sino a che la malattia non lo
bloccò, aveva partecipato a tutte le edizioni della Marcialonga, uno
che saliva sul treno, da solo, diretto in Svezia per affondare gli sci nella
pista della la mitica Vasaloppet, la "maratona di New York" dello
sci nordico.
E' a me che 5 anni fa telefonò per dirmi che voleva iscriversi ai Radicali
Italiani e portare avanti la battaglia per la cannabis terapeutica. Sobbalzai
dalla sedia. Quale occasione migliore per fare un po' di sciacallaggio politico!
Un malato servito su un piatto d'argento. E che oltretutto era già molto
conosciuto in città.
Una vera manna per noi "Cabezones descaminados pronti a lucrare sulla sua
malattia e meglio un voto oggi che uno scrupolo di coscienza domani", come
ha scritto Bruno Sacchini due giorni fa.
La pensa così Maria Antonietta, anche se al funerale del marito Luca
non si è staccata un solo attimo dal braccio di quella carnefice malefica
e sadica di Emma Bonino. Ma cosa vado a pensare, sarà stato certo solo
per dovere di etichetta!
Più disincantato mi chiedo perché un malato deve per forza essere
inerte per essere rispettato.
Perché è uno scandalo se un combattente come Lino, o come Luca,
decide di dare corpo politico alla sua malattia per il bene futuro di tanti
altri malati che non hanno la sua forza e voglia di reagire, per tutte quelle
persone travolte da destino di dolore più forte di loro che riescono
appena a stare in piedi?
E se questo gli dà, se non allegria, speranza, forza, che poi in un certo
senso diventa anche allegria? Perché la presunzione dei teorici della
sofferenza impone che se un malato grave apre bocca è un poveretto che
si fa strumentalizzare? Tutte le scelte sono rispettabili, non ci sono patenti
di bontà da assegnare, né nomi di partito. E questa, francamente,
non è una cosa molto complicata da comprendere.
Ho perso mia madre 18 anni fa per un tumore. Si ammalò al tempo del caso
Tortora e dopo quattro anni morì con lui, negli stessi giorni, ma non
ho mai pensato che lei potesse vivere la sua malattia in modo diverso da come
l'ha vissuta. Non perché non fosse degna di una lotta politica, ma semplicemente
perché lo ha fatto nel modo umano che aveva scelto, e non ha "squittito
quando era lì lì per affogare".
Caro professor Sacchini, si dicono tante cose senza pensarci troppo, presi da
emozioni di rabbia, gioia, euforia, amore o depressione, e non sempre ci si
capisce. Possono nascere incomprensioni anche da un piccolo sms rivolto in fretta
a chi si vuole bene. A volte si buttano giù pensieri che abbiamo solo
visto arrivare, ma non abbiamo ancora afferrato.
Ed a volte va bene così, perché poi c'è quasi sempre una
possibilità, e anche due o tre, per chiarire, per confrontarsi, per capirsi.
E se c'è un po' di rispetto, dopo una sonora discussione, se ne esce
più forti.
Insomma professore, capita di dire o scrivere grandissime fesserie. Temo proprio
che lunedì sia successo a Lei.
Non ha condiviso le battaglie di Luca Coscioni, concesso.
Non condividerà mai le mie idee politiche, superconcesso, ci mancherebbe
altro.
Ritiene che la sofferenza fisica sia una forma di espiazione e di elevazione
morale e che non vada alleviata dalla scienza (e che Lino non abbia quindi il
diritto di fumare marijuana per stare meglio), che la guarigione dalla sua malattia
sia un premio per la fede. Le concedo anche questo.
Ma conceda anche lei qualcosa a me, a Luca, a Lino, e forse un po' anche alla
sua dignità.
Chieda scusa.