Pubblicato il 19 ottobre 2005 su La Voce di Romagna
in prima pagina
di Simone Mariotti
Alla fine ci sono riusciti, e dopo le dichiarazioni di quel
grande statista che è Clemente Mastella le speranze di una bocciatura
al Senato paiono svanire.
Con una lodevole rapidità, che non si vedeva dai tempi dall'approvazione
notturna della legge sul finanziamento pubblico ai partiti, il partitaccio del
proporzionale ha finalmente messo a segno il suo colpo, mandando al macero per
l'ennesima volta la volontà degli italiani che in due occasioni nel giro
di pochi anni avevano auspicato un percorso ben diverso per l'evoluzione del
sistema elettorale di questo paese.
Si, DUE, non mi sono sbagliato. La prima, trionfale, nel 1993, la seconda nel
1999, quando il referendum che chiedeva non la conferma, ma addirittura l'estensione,
anzi, il vero inizio del sistema maggioritario, non raggiunse il quorum per
uno di quei motivi che sono costati all'Italia una sfilza di denunce per attentato
ai diritti civili del cittadino da parte della Corte di Giustizia dell'Aia:
migliaia di morti non erano stati cancellati dalle liste elettorali, a sufficienza
da far sì che la nostra stupida legge permettesse loro, insieme a tutti
i residenti all'estero a cui non era stato recapitato il certificato elettorale
(il 99,5% del totale, dati oramai certi) di resuscitare ed invalidare un voto
di importanza fondamentale.
Le metastasi del proporzionale stanno per incancrenire ancora di più
questa già malridotta penisola, come se non fossero sufficienti i disastrosi
effetti della quota proporzionale prevista dal mattarellum. E pensare che c'è
ancora qualcuno racconta la filastrocca sul fallimento di un maggioritario che
in realtà non è mai partito sul serio.
E nel frattempo riforme fondamentali deperiscono, abbandonate nel torbido. Soprattutto
la riforma delle pensioni, che doveva aiutare il decollo della previdenza complementare,
necessaria per attutire il botto tremendo che si sta per abbattere sulle finanze
italiote non appena i baby boomers usciranno dal mondo del lavoro (ce ne occuperemo
le prossime settimane).
La legge sul risparmio langue ed ancora non si parla di cancellare i pesanti
conflitti di interesse che caratterizzano il sistema finanziario italiano.
La separazione netta tra la proprietà delle società di gestione
fondi e delle banche collocatrici (o per lo meno l'impedimento a tali società,
se controllate dalle banche, di operare su titoli di aziende nelle quali la
banca è esposta, il che, in Italia, vuol dire praticamente tutte le più
importanti) resta un sogno.
L'uscita delle banche dall'azionariato della Società di Borsa spa, non
pare così necessaria, mentre la piena assimilazione dei prodotti assicurativi
a contenuto finanziario a quelli unicamente finanziari quanto standard di trasparenza,
è ancora una lontana utopia.
La vigilanza sulla concorrenza del sistema bancario e sulla sua stabilità
sono ancora affidate ad un'unica autorità (la Banca d'Italia), anche
se le misure che un'autorità indipendente dovrebbe prendere per raggiungere
i due scopi sono opposte.
Però si fa polemica sulla mancata uscita delle banche dalla proprietà
di Banca d'Italia, la minore e meno significativa delle accuse rivolte a palazzo
Koch.
Niente.
I lor signori litigano sul mandato a termine del Governatore, quando una semplice
legge ordinaria potrebbe revocare immediatamente il mandato a Fazio.
Blaterano sulla tutela dei risparmiatori, mentre noi siamo costretti ad assistere
impotenti anno dopo anno all'ennesima trasmissione di Report che massacra, giustamente,
un sistema bancario da terzo mondo, in cui i poveri impiegati sono costretti,
sotto la minaccia di finire nelle forche caudine di trasferimenti e mobbing,
a raccontare balle su balle per stare sul mercato; un sistema che nell'ultimo
anno ha toccato un livello talmente infimo che anche la stampa estera non sa
più che parole usare per descriverlo.
Si continuano ad inondare con soldi pubblici compagnie decotte come Alitalia
che dovrebbe invece fallire oggi stesso per il bene suo e del paese.
Quella che si avvia alla conclusione è stata una legislatura paradossale,
in cui, con tipico gusto italiano, una maggioranza che si definiva paladina
"delle libertà" ha raggiunto picchi di statalismo, paternalismo,
proibizionismo e assistenzialismo che anche la peggior sinistra al governo (e
c'è da temere sul serio) farà fatica ad emulare.
Poco o nulla è stato fatto per stimolare la concorrenza in settori chiave
come i servizi e le professioni, e non una sola riforma che scardinasse il nostro
pesante sistema di rendite di posizione da epoca feudale.
In compenso la combattiva Chiara Moroni avrà la sua leggina ad hoc per
un bel ripescaggio in stile "mondiale", e qualche senatore non andrà
in galera. Meno male!
Cari parlamentari, vi capisco, avete fatto proprio bene a tornare al proporzionale.
E' certamente il modo migliore per ricominciare a fare da scarica barile gli
uni sugli altri, per fuggire le responsabilità che non avete il coraggio
di prendervi, per tornare a sguazzare nella melma del "tutti contro tutti",
dove i compagni di cordata vengono spesso e volentieri velatamente (ma neanche
tanto, Bossi docet) insultati quasi più degli altri avversari, perché
è solo la visibilità nel pollaio quella che conterà d'ora
in poi.