Pubblicato il 28 febbraio 2004 su La Voce di Romagna
in prima pagina
di Simone Mariotti
Quante analogie! Non si saprebbe da dove iniziare a voler elencare
uno dopo l'altro i misfatti compiuti da speculatori e truffatori negli anni
venti e copiati di sana pianta dai loro pronipoti di fine millennio. Dalle colonne
di questo giornale ho già fatto notare varie affinità col passato,
dall'operato dei concittadini Ponzi e Tanzi, ai boom immobiliari, alla tardiva
creazione di autorità di controllo. Oggi è di scena il Governatore
della Banca d'Italia Fazio, indagato da qualche giorno per la presunta scarsa
vigilanza del nostro istituto di controllo bancario nei confronti della Banca
121 (ex Banca del Salento, acquisita poi dal Monte dei Paschi di Siena) circa
il collocamento di alcuni prodotti, tra cui quelli chiamati MY WAY e 4YOU.
Anche se le accuse si dovessero rivelare infondate (!?!), una bella pernacchia
non dovrebbe essere risparmiata al Governatore e al suo staff visto che non
si erano accorti che quelli che Banca 121 definiva come prodotti innovativi
"destinati a valorizzare il portafoglio finanziario dei clienti",
con tanto di accattivante nome anglofilo, altro non erano che una brutale scopiazzatura
di un'idea, già allora pessima, partorita dalla mente patologicamente
grandiosa di un personaggio-mito degli anni venti: J. J. Raskob. Andiamo a conoscerlo.
John Jakob Raskob (1879-1950) era un grande finanziere eclettico che spaziava
dal consiglio di amministrazione della General Motors, a quello della Du Pont,
fino alla Bankers Trust. Devoto cattolico, a chi gli chiedeva quale fosse il
suo mestiere rispondeva di essere semplicemente "un capitalista".
Amante della grandiosità, fu anche l'ideatore del progetto che portò
alla costruzione dell'Empire State Building. Pare che in quell'occasione avesse
chiamato l'architetto William Frederick Lamb e, dopo aver posato una matita
in equilibrio verticale sul suo tavolo gli disse: "quanto me lo puoi fare
alto senza che cada?". Ovviamente non aveva mancato di curare l'aspetto
politico della sua carriera e, dopo un inizio con i Repubblicani, fu mastellianamente
assoldato dai Democratici come bandiera da usare contro chi li accusava di essere
una minaccia per il capitalismo. Si imbarcò così nella campagna
elettorale del '28 come presidente del Comitato Nazionale Democratico a sostegno
di Al Smith, che però non riuscì a prevalere sul repubblicano
Herbert Hoover (un poveretto che inneggiava all'imminente "abolizione della
povertà", ma che sarebbe stato ricordato come il Presidente della
Grande Depressione). Raskob l'integerrimo non si lasciò intimorire dalla
sconfitta. Era deciso a combattere fino in fondo per regalare al popolo la chiave
della ricchezza, e sferrò il suo colpo. Il suo nome resterà infatti
legato ad un articolo divenuto celebre intitolato "Everybody Ought to Be
Rich" (Tutti devono essere ricchi), apparso nell'agosto del 1929 sul Ladies'
Home Journal (una diffusissima rivista per casalinghe!).
La sua teoria era semplice e lineare: investendo 15 dollari al mese (l'equivalente
di circa 150€ attuali) in azioni per 20 anni e reinvestendo i dividendi,
si sarebbero potuti ritirare come minimo 80.000$ (800.000€ di oggi) ed
un reddito dagli investimenti di 400 dollari al mese. Vent'anni però
erano decisamente troppi, specialmente in quell'epoca frenetica ed entusiasmante,
quasi una provocazione, quasi un insulto dei ricchi ai poveri, come a dire "aspettate
pure che noi intanto ci godiamo la vita". Ed ecco allora la brillante soluzione,
riesumata 70 anni dopo dai maghi di Banca 121: costruire una società
che avrebbe preso a prestito del denaro e avrebbe attribuito ai sottoscrittori
l'intero valore delle azioni acquistate con i fondi; l'importo del prestito
sarebbe stato restituito a piccole rate, ma l'investitore iniziava sin da subito
a godere delle gioie dei mercati, destinati immancabilmente a salire per sempre.
La proposta fu subito accolta con giubilo. Uno dei più grandi commentatori
economici americani, J.K. Galbraith, ironizzò: "la reazione al piano
di Raskob fu paragonabile all'eco suscitata da una nuova ardita formulazione
della relazione tra massa ed energia"; un giornale dell'epoca parlò
di "Utopia Concreta", un altro "della più grande intuizione
della più grande mente di Wall Street". Per fortuna non se ne fece
nulla: il disastro era incombente e troncò le gambe sul nascere al maldestro
progetto.
L'idea di indebitarsi per speculare sul mercato azionario è una delle
più malsane tra quelle che possono saltare in mente al piccolo investitore.
Il fatto che sia stata addirittura una banca a proporlo fa sorgere parecchi
dubbi sulla reale innocenza di un organo di controllo che si rispetti come la
Banca d'Italia. Purtroppo, nel periodo a cavallo tra il 1999 e il 2000, era
una pratica diffusa non solo nei locali di Banca 121. Solo per citare una trappola
in cui caddero in molti, non era raro trovare persone che, ricorrendo a debiti,
avevano acquistato ai massimi azioni di Seat Pagine Gialle, gigante d'argilla
tra i più alla moda di quattro anni fa, che si frantumò poi in
breve tempo.
Dal punto di vista della prudenza finanziaria, la regola migliore da seguire
è invece esattamente l'opposto del "tutto e subito" consigliato
dalla coppia Raskob-Banca 121: un graduale accumulo sul mercato azionario è
l'ideale per evitare di entrare al momento sbagliato. Per ironia della sorte,
fu lo stesso Raskob a suggerire la corretta via. La prima parte del suo piano
infatti non era altro che la messa in pratica di quello che oggi verrebbe definito
un classico PAC (piano di accumulo del capitale), che però richiedeva
tempi troppo lunghi per un mondo ruggente come quello del '29. Anche i ritorni
promessi da Raskob erano esagerati (il tutto corrispondeva ad un iper-ottimistico
24% annuo). Tuttavia chi avesse seguito il suo primo consiglio (un piccolo investimento
a rate, costante e rigoroso), nonostante fossimo alla vigilia del periodo borsistico
più nero della storia, avrebbe fatto un affare ben più redditizio
rispetto a chi, sconvolto dal crollo, si rifugiò per anni nei titoli
di Stato a breve termine. E' un'ennesima dimostrazione che perdere totalmente
la fiducia senza pensare alle reali condizioni dei mercato, è sbagliato
tanto quanto illudersi di una crescita infinita.