Pubblicato il 28 febbraio 2007 su La Voce di Romagna
in prima pagina
di Simone Mariotti
Chissà quanti lettori sono capitati tra le grinfie dei
venditori di polizze assicurative appartenenti a catene multilevel? Tra le più
sotto i riflettori c'è stata sicuramente la mitica Bayerische (oggi Ergo),
che ha seminato prodotti assicurativi ai quattro venti, ma soprattutto agli
stessi venditori, vittime di un lavaggio del cervello iniziale fatto di sogni
di gloria e schemi di vendita che li vedevano proiettati tra l'olimpo dei Paperoni
d'Italia in pochi anni.
Poi però a fatica si piazzavano una decina di contratti a zii, fratelli,
amici d'infanzia, compagni di squadra (un classico), magari a qualche collega,
dato che il venditore di polizze d'assalto puntava ad arrotondare con il multilevel
gli incassi di un altro impiego.
Nella grande maggioranza dei casi i venditori ignoravano veramente cosa stessero
vendendo. Nulla di illegale, per carità, né di disastroso. Solo
l'ignoranza media delle due controparti dell'"affare" faceva si che
un terzo, la compagnia, godesse per aver piazzato un prodotto poco utile al
destinatario, vincolante e costoso oltre il dovuto. Il Sole 24 Ore da un paio
d'anni porta avanti inchieste su questi prodotti e sulle lamentele dei clienti,
non solo di Bayerische-Ergo, ma anche di Ina, di Alleanza, per dirne altre due,
di tante altre.
E' il mondo delle assicurazioni cari miei, le gioie e i dolori di mezzo capitalismo
italiano, e specchio stesso dell'Italia piagnona. Di quella che si lamenta degli
assicuratori, ma che li cerca per investire in contanti il nero della loro attività
(ma dal 2007 non si può più), e di quell'altra che non sottoscriverà
mai una polizza "per principio", ma poi investe nell'amatissimo titolo
delle Generali, che è sempre nel cuore di tutti i cassettisti.
Le assicurazioni sono il nonplusultra del volere la moglie piena e la botte
ubriaca. Tutti ne hanno una opinione mediocre, ma alle fine tutti ne subiscono
l'oscuro fascino. La polizza dà un senso di sicurezza anche se, e quasi
lo si percepisce a pelle ma non abbastanza da fermarci, è spesso solo
un peso in più che ci si accolla sul groppone. Un peso che arriva da
un mondo piuttosto suadente e ignoto, spesso utilissimo, ma spessissimo mal
venduto o mal acquistato.
Un mondo che sta già affilando coltello e forchetta per gettarsi a capofitto
sul lauto banchetto del TFR. E così arriviamo all'oggi.
Tra le forme previdenziali previste per la destinazione del TFR (oltre a fondi
negoziali e fondi pensione aperti) ci sono anche le polizze assicurative, PIP
(o FIP) per gli amici.
Sono le forme più libere in assoluto, nel senso che non ci sono praticamente
vincoli alla loro sottoscrizione. Un loro senso ce l'hanno: dovrebbero offrire
delle garanzie aggiuntive rispetto alle altre forme previdenziali, a fronte
di maggiori costi. Ed a volte è così. Alcuni contratti sono fatti
proprio per fornire quelle "assicurazioni" accessorie assenti altrove.
La realtà però è che la grandissima maggioranza dei PIP
in circolazione non sono altro che dei fondi pensione che costano il doppio,
limitando le extra garanzie a semplici abbellimenti, perlopiù poco significativi.
Ma non bisogna trascurare questo aspetto perché se è vero che
una volta gli alti costi assicurativi erano più che compensati dai benefici
fiscali che solo le polizze avevano, oggi a tutte le forme previdenziali è
riservato lo stesso trattamento fiscale.
Ed è il costo allora un elemento che deve far molto riflettere prima
della sottoscrizione di una polizza destinataria del TFR.
Se facciamo un confronto tra la media dei prodotti assicurativi e i fondi aperti
(i due concorrenti più diretti, visto che i negoziali sono riservati
solo a determinate categorie), scopriamo che il costo annuo aggiuntivo di un
PIP può arrivare ad essere anche del 1% superiore a quello di un fondo
aperto, e del 2% rispetto ad un negoziale. Sapete cosa vuol dire per un lavoratore
di 35 anni che ha davanti a se 30 anni?
Se supponiamo un identico rendimento finanziario dei due fondi, mettiamo al
5% annuo, in 30 anni si ottiene il 330% circa. Ma se togliamo un 1% all'anno
si arriva solo il 224%, il 32% in meno. Rispetto ad un negoziale, su orizzonti
così lunghi la differenza può superare il 50%.
Non trascurate i costi, quindi, specialmente se avete molti anni davanti a voi.
E non dimenticate che se oltre al TFR decidete di fare dei versamenti aggiuntivi
potrete detrarli dal reddito sino ad un massimo di 5164€, qualunque sia
il tipo di strumento da voi prescelto.
Resta ora da rispondere ad una domanda cruciale: questa tanto discussa riforma
del TFR, servirà a salvare la previdenza italiana dal tracollo? Ne parleremo
il prossimo mercoledì.