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C'è anche un Islam che gira in minigonna



Pubblicato il 27 settembre 2006 su La Voce di Romagna in prima pagina

di Simone Mariotti

Non sono un teologo. Non sono uno stratega di geopolitica che deve per forza trovare una spiegazione razionale a tutto. Non sono un integralista religioso. Però osservo la religione, osservo la geografia politica ed osservo gli integralisti.
In un articolo si può dire proprio poco, ma a volte basta soffermarsi su di un paio di elementi solidi per stimolare ulteriori analisi, che lascio ad altri.
Se si parla di Islam, per esempio, si può iniziare dicendo che un'imprecisione comune commessa dai più ostili a questa religione, è quella di considerarla come un qualcosa in cui il "pensiero unico" sia molto più forte che in altri credi, quando la realtà è esattamente il contrario. Un aneddoto.
Stavo sorseggiando una birra sotto uno chalet sulla spiaggia, assieme ad un mio amico tedesco, sulla costa del Sarawak, in attesa di due austriaci con i quali avremo dovuto condividere un taxi. Si era radunata davanti a noi parecchia gente, anche perché era mattino inoltrato ed era un giorno di festa locale. Dalla folla che ci stava vicino, si fanno avanti due ragazze che avevano voglia di parlare e di fare un po' le civettuole. Dopo pochi minuti ci siamo resi conto di tanti pregiudizi sui musulmani che circolano dalle nostre parti.
Erano indonesiane, come la gran parte degli altri, ci spiegarono. Tutti lavoratori per una stessa azienda di Bintulu, una città poco distante da lì. Tutti musulmani, ma di portare il velo sopra la testa con quel caldo loro proprio non ne avevano voglia. Jeans bassi, maglietta corta, sorriso rosso smagliante. E non erano due svergognate ripudiate dalla società. Noi due credevamo fossero al massimo ventenni, ma i loro mariti che, altra cosa curiosa, ci sorridevano a pochi metri di distanza e i due figli della più grande (che aveva 29 anni, l'altra 27), ci convinsero subito del contrario. Sembrava una di quelle situazioni in cui due donne sposate con figli si vogliono divertire con un gioco del tipo: vediamo se siamo ancora capaci di far colpo sugli uomini! Noi stavamo al gioco, ed i mariti, musulmani, pure!
Una situazione del genere sarebbe potuta capitare in tanti altri posti, non solo in Asia. Al Cairo, per esempio, o in Marocco (leggendo quanto rilasciato a questo giornale due giorni fa dalla ragazza musulmana che ha partecipato a Miss Italia) o in Turchia. Come ricorda l'intellettuale iraniano Navid Kermani, "gli esperti occidentali interpretano il fatto di essere musulmano in maniera molto più rigida di quanto non facciano gli stessi musulmani. A noi non verrebbe mai l'idea di definire non-musulmani quei musulmani che hanno un rapporto più blando con i loro doveri religiosi. In Europa invece accade spesso che un musulmano che di tanto in tanto beve volentieri un bicchiere di vino venga definito, a metà tra sollievo e delusione, un "cattivo" musulmano. Un ebreo, ad esempio, non ha bisogno di essere ortodosso per poter essere ebreo. Prescindendo dai più radicali, tra i musulmani c'è il consenso che essere musulmano significa credere in un Dio, accettare Maometto come il suo ultimo profeta e credere all'aldilà. Questi e altri due o tre aspetti costituiscono la base della fede, e vengono ovunque considerati dai musulmani come il nucleo dell'Islam. Oltre questo, le differenze di interpretazione sono molto grandi, e i fattori sociali giocano un ruolo molto importante. Il ceto medio di Istanbul ha con la religione un rapporto molto simile a quello degli europei. Gli immigrati musulmani, qui, che spesso provengono da regioni poverissime, dove la religiosità ha naturalmente un ruolo ben diverso, ovviamente la pensano diversamente. Nelle regioni rurali d'Europa e anche in Italia, ancora fino a pochi decenni or sono, le cose stavano più o meno nello stesso modo".
Dunque non c'è un solo modo di interpretare l'Islam, né un'unica visione dei rapporti che la religione deve avere con lo Stato. Anzi, ricorda ancora Kermani che nella storia del califfato c'è sempre stata una netta divisione tra stato e religione, ed il califfo aveva un ruolo spirituale solo simbolico non di guida, allo stesso modo in cui la regina inglese è il capo della chiesa anglicana. Modelli confessionali come quello iraniano sono prodotti moderni dell'epoca post coloniale.
Un'altra delle mistificazioni più comuni, è quella di identificare l'Islam con il Medio Oriente. In realtà in Medio Oriente vive meno del 15% dei musulmani del mondo. Le due comunità più grandi di fedeli sono quella indonesiana, 210 milioni, e quella indiana, 150 milioni, che da sole superano l'intera popolazione mediorientale comprendendo anche i 140 milioni del Pakistan, politicamente filo americano, ed i 60 della Turchia, paese NATO, che vorrebbe entrare nell'Unione Europea.
Perché ci poi sono paesi islamici tolleranti come Malesia, Brunei, Senegal, Egitto, Oman, Indonesia? In molti, è vero, c'è un grosso deficit di democrazia, ma in questo anche gli stati ultra cattolici non se la passano benissimo, basta guardare la sfilza di dittatori che si sono succeduti nei decenni in America Latina.
Secondo il pensiero di un altro intellettuale musulmano, il sudanese Abdullahi An-Na'im, "quando la cultura araba era potente, indipendente e creativa c'era un'incredibile varietà di opinioni ed una grandissima predisposizione la dibattito. La gente era disposta a definire l'Islam autonomamente, a prescindere dalle forze esterne che cercavano di controllare la sua vita. Al contrario, nei periodi in cui l'Islam si sentiva minacciato, come dai mongoli alla fine della dinastia Abassida nel XIII secolo, o successivamente all'inizio del secolo scorso con il crollo dell'impero ottomano, ecco che riacquistavano centralità il conservatorismo, il controllo repressivo e la diffidenza. Tali orientamenti non sono mai stati risultato di un'eredità islamica connaturata, quanto piuttosto dei vari contesti in cui i musulmani si relazionavano alla propria fede. Comprendendo questa dinamica, si comprende anche perché il fondamentalismo, l'estremismo, la violenza ed il terrorismo non sono fenomeni isolati esclusivamente correlati all'Islam, ma un prodotto del sistema di riferimento in cui i musulmani di oggi sono inseriti".
Penso ci sia da riflettere su quale interpretazione dell'Islam porta alla violenza, su quali siano le caratteristiche storiche e "minerarie" dei paesi più aggressivi, e chiedersi anche perché i drammi maggiori nella storia dell'uomo non si siano generati da scontri di culture diverse (questi hanno prodotto "solo" guerre locali e parecchi morti), e che i massacri e i genocidi peggiori sono nati da sclerotizzazioni avvenute internamente a gruppi culturali simili se non identici: le due guerre mondiali, Pol Pot, le recenti pulizie etniche Serbe e tutte le guerre europee dell'ottocento e del settecento.






 
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