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I guerrieri mancati della riforma elettorale



Pubblicato il 10 febbraio 2014 su La Voce di Romagna

di Simone Mariotti

“Il coraggio, uno non se lo può dare”. Vi ricordate? Era Don Abbondio, che si giustificava del suo comportamento davanti al cardinale Federigo Borromeo, ma parlava anche degli uomini. Se il coraggio non ce l’hai, non ce l’hai. E non importa se si tratta di far fronte alle pressioni di un prepotente o del tuo elettorato, anche se poi, così prepotente quest’ultimo non lo è mai stato. Insomma, fifoni si nasce e lo si resta tutta la vita, e per il politico medio in Italia il povero curato manzoniano rappresenta un modello di riferimento. Soprattutto quando si tratta di varare una nuova legge elettorale.
Ieri come oggi, il dibattito non è su quale sia il sistema più adatto, più efficace, non lo è mai in Italia, su nulla. Il dubbio è su quale garantisca meglio chi è al potere, o come fare per garantire dei seggi sicuri a una classe dirigente che non ha il coraggio di conquistarsi i voti da sola senza paracaduti elettorali da azzecca garbugli. Un paracadute per i leader, in realtà lo sono anche le preferenze: i volti più noti dei partiti sponsorizzati da giornali e tv non hanno problemi a raccoglierne a iosa, mentre nei retrobottega della politica, sono il sistema migliore per stimolare la corruzione, il clientelismo e il voto di scambio; il peggio del peggio, insomma.
C’è un solo sistema che si pone a metà strada tra quello che è giustamente un diritto dei partiti e della loro classe dirigente di esprimere i candidati e quello dei cittadini di promuoverli o bocciarli a loro insindacabile giudizio. Un sistema in cui non ci sono né nominati, che hanno la certezza di avere il seggio caldo qualunque cosa dicano, pensino, facciano, né furbi intrallazzatori capaci di trafugare scatole di preferenze scavalcando, e capita quasi sempre così, persone molto più degne e preparate di loro.
E’ il sistema dei collegi uninominali senza alcun recupero proporzionale: ogni partito/coalizione presenta un solo candidato in ogni collegio, e chi prende più voti viene eletto (al limite anche dopo un ballottaggio in due turni).
E’ la cosa più semplice del mondo, la più trasparente e che costringe tutti, grandi leader compresi, a dare il meglio, a mettersi in gioco, a rischiare e a conquistarsi ogni voto, perché se il collegio lo perdi resti a casa. E’ quella, per intenderci, con cui si eleggono l’uomo e il parlamento più potenti del mondo, quelli americani. Ma anche quelli inglesi e del mondo anglosassone, e i francesi.
Popper scriveva: “Considero una disgrazia la proliferazione dei partiti e quindi anche la legge elettorale proporzionale. La frammentazione di tutti i partiti infatti porta a governi di coalizione in cui nessuno si assume la responsabilità di fronte al tribunale del popolo perché tutto è un inevitabile compromesso. Inoltre diviene molto incerto riuscire a liberarsi di un governo perché gli basterebbe trovare un nuovo piccolo partner nella coalizione per poter continuare a governare”. (Libertà e responsabilità intellettuale, 1989).
Nel 1993 ci eravamo parzialmente liberati del cancro del sistema proporzionale, che nel suo buonismo democratico aveva drogato un sistema che nei 20 anni precedenti aveva fatto del compromesso, della spartizione e della tangente l’unica ragione di vita. Dopo uno shock di assestamento (il biennio 94-96), si era giunti se non alla stabilità di governo, a quella parlamentare. Due legislature complete di fila, non accadeva dagli anni ‘60.
Con il nuovo proporzionale (seppur con il premio del porcellum) siamo tornati ai fasti precedenti: 2 anni la prima legislatura (2006-2008), due maggioranze diverse nella seconda tra il 2008 e il 2013, mentre la terza fa già fatica a sopravvivere al primo anno.
Il maggioritario puro garantisce stabilità, e una tale ovvietà spaventa non poco i partiti italiani, troppo abituati a scaricare sull’alleato di turno la responsabilità dell’inettitudine di governo. Gli sbarramenti dei sistemi proporzionali, invece, sono un metodo penoso per tenere fuori i piccoli senza far nulla per meritarsi i loro voti, che andrebbero invece conquistati sul campo. I premi di maggioranza, oltre a lasciare dubbi costituzionali, sino a oggi non sono serviti a nulla, perché una piccola minoranza interna alla coalizione vincitrice sarà sempre pronta a ricattare e a far cadere un governo ad ogni stormir di fronde. Se poi la qualità politica degli eletti è garantita da liste bloccate, candidature plurime su più collegi, postille “ad partitum”, più tutto quel che finirà dentro alla proposta Renzi/Berlusconi, l’Italia si appresta a salutare un altro Parlamento “solenne”.
Uno contro l’altro, chi ha più voti vince. E’ la cosa più semplice e pulita del mondo. Lo sanno bene tutti, e per questo se ne terranno tutti il più lontano possibile. Solo i Radicali, come partito, lo chiedono da sempre, per il bene del paese. Solo loro, che sono così piccoli che da un tale sistema verrebbero spazzati via più duramente di quanto non lo siano già stati negli ultimi 20 anni con quelli in vigore sino a oggi.




 
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