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Quelli che hanno i soldi all’estero, a loro insaputa – seconda parte



Pubblicato il 27 giugno 2012 su La Voce di Romagna

di Simone Mariotti

Che accadrà se l’Italia esce dall’euro? Che accadrebbe in caso di un blocco bancario italiano, per esempio dovuto a una corsa agli sportelli? La settimana scorsa ponevo questi quesiti, frutto delle preoccupazioni di molti italiani e dei desideri reconditi di fuga all’estero. Il fatto è che, almeno per un 2,5% della ricchezza finanziaria, qualcuno all’estero c’è già, e potrebbe essere il vostro vicino di casa, o voi stessi, senza magari neanche saperlo. E dire che lo potrebbero fare tutti, e in modo semplicissimo.
Il nostro alleato in questa impresa transfrontaliera si chiama SICAV (società di investimento a capitale variabile), ed è la forma giuridica tipicamente utilizzata dai gestori internazionali con base principalmente in Lussemburgo per operare e per vendere i propri servizi ai risparmiatori europei. E’ di fatto una società di gestione che raccoglie denaro avvalendosi di una serie di “assistenti” rigidamente regolamentati nei loro ruoli, proprio a tutela dei piccoli investitori. Questi “assistenti” sono la Banca Depositaria, il Soggetto Incaricato dei Pagamenti (SIP), e il Collocatore. Essendo in Italia, quest’ultimo è l’unico di diritto italiano ed è l’intermediario con cui il cliente finale ha dei rapporti diretti, e può essere una banca o, molto più spesso, una SIM (società di intermediazione mobiliare) che opera tramite promotori finanziari, o direttamente la società di gestione stessa con suoi uffici. Vediamo allora che strada percorre il denaro di chi investe in una Sicav di diritto estero.
L’importo iniziale viene accreditato sul conto corrente utilizzato per la raccolta dalla società cui abbiamo dato in gestione il denaro e che viene aperto presso il Soggetto Incaricato dei Pagamenti (SIP, che una volta era chiamato Banca Corrispondente). Il SIP fa cioè da tramite tra chi raccoglie il denaro presso i clienti e la società che poi li gestirà. Infatti, una volta ricevute le somme, il SIP le accredita su un’altro conto corrente che questa volta è aperto presso la Banca Depositaria, una terza banca che funge da garante e che custodisce il denaro dei clienti e attraverso la quale il gestore opera, investendo quanto ricevuto negli strumenti finanziari che rientrano nel suo mandato (per es. obbligazioni globali, azioni americane, liquidità svizzera ecc..). In fase di rimborso, il denaro seguirà il percorso inverso.
L’aspetto interessante per rispondere alle nostre domande iniziali è che nel caso di grandi gestori internazionali (che operano in Italia tramite collocatori nazionali), non solo la Sicav che gestisce e la Banca Depositaria, ma anche il SIP è domiciliato il Lussemburgo.
Chi investe quindi tramite una Sicav di diritto estero (meglio se lussemburghese) trasferisce fuori del paese il suo denaro in modo completamente legale e fiscalmente trasparente, senza dover far nessuna segnalazione sul modello Unico nel quadro RW e senza subire nessuna penalizzazione fiscale.
Senza fare la fatica di recarsi a Lugano, a Londra, a Pechino per aprire in conto in valuta, possiamo così, tramite un collocatore italiano e con un semplice bonifico, trasferire le somme a un gestore estero posizionandole nel tipo di titoli o liquidità che più ci aggrada. Ma il fatto di avere tutti i soggetti interessati giuridicamente all’estero ci offre anche una possibilità in più.
Una delle società americane con cui ho dialogato mi confermava che, in caso di stallo bancario in Italia, “un cliente può chiedere un cambio collocatore verso un collocatore estero. Il Soggetto Incaricato dei Pagamenti calcola l’importo della plus/minusvalenza e il cliente effettua un pagamento a parte per l’importo della tassazione; non vengono disinvestite quote per far fronte al pagamento della tassazione. Tutte le quote vengono interamente trasferite all’entità entrante”.
Cioè non solo il denaro è gestito al di fuori dei nostri confini, ma è possibile lasciarlo là anche in caso di crak bancario nostrano e chiedere che l’incasso dei nostri futuri disinvestimenti sia effettuato accreditando conti aperti presso altri istituti al di fuori dell’Italia. E’ un’ipotesi estrema, certo, e richiederebbe qualche sforzo, ma è un’opzione che nel caso di molti gestori è esercitabile.
Tutta questa trafila che sembra da grandi esportatori di capitali può essere incece la prassi comune anche per un piccolo investitore con appena 5.000€ di risparmi, e molti la stanno già mettendo in essere da anni perché le grandi società di gestione globali operano nel nostro paese da molto tempo e i loro servizi sono stati scelti in passato non tanto perché domiciliati all’estero, ma perché più efficienti. Per questo anche chi da anni ne utilizza i servizi spesso non sa di avere, di fatto, portato il suo denaro all’estero.
Ma se risiedere all’estero è tornato a essere un appeal a causa dei problemi del nostro paese, la scelta di fondo importante da fare è sempre e comunque quella di dove investire, perché se dal Lussemburgo compro titoli italiani, greci o spagnoli non risolvo nulla, se la mia fonte di preoccupazione è la sorte di quei paesi.
C’è molto altro da dire, ma tre colonne son poche, anche se spero siano state sufficienti a stimolare un confronto con i vostri interlocutori.




 
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