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Chi ha rubato la mia pensione?



Pubblicato il 28 marzo 2012 su La Voce di Romagna

di Simone Mariotti

“Chi ha rubato la mia pensione?” era il titolo di una serie di articoli che scrissi per questo giornale nel 2005. Non era ancora entrata in vigor la riforma del TRF né le “riforme” dei vari governi che si sono succeduti sino a oggi, né tantomeno era all’opera il “terribile” ministro Elsa Fornero. E oggi la professoressa credo che verrebbe utilizzata da molti come risposta alla mia domanda di allora, e in tanti sbaglierebbero.
Approfitto della ripresa della sempre interessantissima trasmissione Report, perché in un paio di domande/osservazioni di Bernardo Iovene al ministro c’è il succo di tutta la questione, in cui si evidenza anche la mancanza di un pezzo veramente dirompente di riforma, a cui però si arriverà gioco forza negli anni, io spero.
Iovene faceva notare al ministro che non poteva togliere dei soldi a delle pensioni già non elevate perché a quelle persone era stato detto che la pensione sarebbe stata tale e oramai si erano abituate e avevano fatto conto su certe cifre.
Umanamente il discorso regge, ma a spese di chi? A spese mie e della mia generazione, dei nati cioè alla fine o appena dopo il baby boom, tra il 1965 e il 1985. Sì perché il ministro ha detto una cosa durissima, ma che mette tutti con le spalle al muro delle responsabilità e ignorarla oggi provocherà disastri, drammi e ingiustizie molto maggiori domani. E cioè che quelle pensioni promesse con i sistemi passati non avevano avuto come corrispettivo un sufficiente ammontare di contributi. E per un paese con un debito come il nostro non è una bella cosa. E questo lo sanno oramai anche i sassi. Il ministro ha usato l’espressione “regalare caramelle” rivolta ai politici di ieri, e così è stato. Perché promettere quello che non potrai dare se non facendo ricadere il conto su chi arriverà domani (rubandogli, con la R maiuscola, la pensione) è un regalare caramelle sì dolci, ma avvelenate per la società, ed è stato fatto per decenni.
Ma quello di non voler trattare tutti nello stesso modo è un male antico e manca ancora oggi il coraggio di andare fino in fondo nelle riforme, cosa che un giorno non lontano pagheremo ancor di più. L’andare sino in fondo è il rimuovere i diritti acquisiti e le disparità di regole per tutti.
Una grande ingiustizia iniziò con la prima, e sino all’avvento di Fornero unica, vera riforma pensionistica, quella di Dini. Ingiustizia non perché Dini fu duro (doveva esserlo), ma lo fu solo con alcuni. La sua riforma rivoluzionò il sistema separando in due i lavoratori italiani unicamente in base all’anno di inizio dell’attività lavorativa. Chi al 31 dicembre 1995 aveva più di 18 anni di contributi stava da una parte, quella del vecchio sistema retributivo dei privilegiati, delle pensioni baby, delle pensioni d’oro, ecc., chi meno di 18 dall’altra, quella del più sostenibile, ma ben poco zuccherino regime contributivo. Cioè, a qualcuno è stato permesso di vivere alle spalle di altri che si sarebbero sobbarcati oneri maggiori (e siamo all’oggi), per avere meno domani. Fornero ha corretto, ma solo in parte questa ingiustizia.
C’è poi una serie di stratagemmi meschini all’opera da sempre per far cassa rubando soldi a categorie deboli e poco conosciute, come accade per i lavoratori che non raggiungono quell’aberrazione democratica che si chiamano “contributi minimi”, “contributi silenti”, “requisiti minimi di partecipazione”, cioè tutte quelle situazioni in cui chi versa, per un motivo o per un altro, spesso perché il lavoro va male, non matura a sufficienza per avere qualcosa in cambio dei contributi versati, come se il suo lavoro, spesso già precario, non valesse nulla.
Poi ci sono le differenze nelle casse previdenziali di categoria, che hanno ognuna regole diverse, ma quando un giorno falliranno (è quasi certo per molte, solo quella dei notati e un paio di altre hanno conti sostenibili), sarà l’INPS che dovrà accollarsele, come già successo in passato. Anche qui tutti figli del sistema obbligatorio pubblico, liberi tutti di combinare mostruosità gestionali (vedi di recente la cassa psicologi o gli scandali passati su Enasarco), ma tutti diversi nel trattamento dei lavoratori.
Insomma, i conti del ministro Fornero sono giusti nel fotografare la realtà italiana, e la durezza è comprensibile. Ma tutti, pensionati e pensionandi, devono pagare in modo uguale.
E due riforme sacrosante che restano da fare sono l’immediata unione di tutte le casse previdenziali obbligatorie in un unico ente, di modo che le regole del sistema pubblico siano le stesse per tutti (e possibilmente maggiori incentivi alla previdenza complementare facoltativa), e l’istituzione immediata di un tetto massimo e retroattivo alle pensioni pubbliche indicizzate, che non dovrebbero mai superare i 5000 euro al mese lordi, per chiunque. Per il resto i tagli sono purtroppo solo una conseguenza inevitabile e largamente annunciata da anni. Annunci sempre ignorati dai lanciatori di caramelle politici e sindacali.




 
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