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Il petrolio e le riflessioni degli investitori



Pubblicato il 9 marzo 2011 su La Voce di Romagna

di Simone Mariotti

Le tensioni libiche stanno facendo riemergere i soliti, ricorrenti problemi sul prezzo del petrolio. Ma se l’effetto di queste tensioni fosse la regola anche in condizioni politicamente tranquille, che accadrebbe? Riporto qui di seguito parte di un interessante contributo uscito sul Sole del 13 febbraio scorso in cui si analizzava la crescita dei consumi di petrolio e gas nei paesi emergenti.

I quattro paesi BRIC (Brasile, Russia, India, Cina), un tempo definiti emergenti, nel 2009 hanno assorbito il 19,65% dei consumi mondiali. I consumi pro-capite dei Bric sono ancora bassi, bassissimi. A livello di Terzo mondo, soprattutto nel caso di cinesi e indiani. Se Pechino e New Delhi arrivassero a consumi pro-capite decenti, sarebbe un bel passo per loro che avrebbe conseguenze pesanti sui nostri consumi. E quando si parla di livelli decenti, s'intende di sviluppi a portata di mano. Il Gabon, per esempio. Il paese dell'Africa centrale, capitale Libreville, non brilla per l'economia in espansione, il Pil non compare nelle parti alte di nessuna classifica, ma ha consumi petroliferi pro-capite molto più alti dei Bric. Ogni bantù, o un abitante delle tante etnie che affollano il Gabon, ha un consumo pro-capite di 4,46 barili l'anno. Contro i 2,33 della Cina e i soli 1,04 dell'India, secondo i dati della World oil and gas review 2010 che l'Eni mette a punto ogni anno.
Portiamo per gioco - un'innocente elaborazione che ha un significato economico concreto - i Bric ai livelli del Gabon: di quanto salirebbero i consumi petroliferi? Il risultato sarebbe devastante: la Cina dovrebbe moltiplicare per tre i suoi consumi, l'India del 748%, il Brasile "solo" del 63 per cento. Risultato: la quota dell'oil Bric sui consumi mondiali raddoppierebbe. Il 42% della domanda mondiale, per essere precisi.
Un altro esempio? La Malaysia, una piccola tigre asiatica, consumo medio pro capite 7,78 barili. Ebbene, il giorno in cui Cina, India, Russia e Brasile arriveranno ad avere consumi pro-capite simili agli abitanti di Kuala Lumpur, sarà un vero e proprio disastro per il mondo, non solo occidentale: i Bric fagociteranno il 70,62% degli attuali consumi di tutto il pianeta. E a noi, e al resto del mondo, costa resterà?
Spingiamo oltre la provocazione matematica, senza arrivare a paesi che sembrano di un altro pianeta, come Arabia Saudita, Stati Uniti e Canada? Fermiamoci alla Corea del Sud, consumo pro-capite poco più di 15 barili l'anno: la voracità dei Bric si trasformerebbe in qualcosa che va al di là dell'immaginabile, i quattro paesi avrebbero bisogno del 151% dell'attuale consumo mondiale.

Il discorso si ripete per il gas, ma potrebbe essere esteso a molte materie prime, quelle alimentari in primis.
Due considerazioni dovrebbero essere fatte, e riguardano sia gli investitori privati che i policy maker.
La prima è che, al di là delle mode del momento, mode che negli ultimi 10 anni si sono susseguite con cicli regolari seguite da una relativa euforia da parte di banche ed emittenti vari nel proporre strumenti di ogni tipo legati alle commodities, investire nel lungo periodo (parlo di 10-20 anni) una porzione del proprio denaro in un paniere di materie prime e società minerarie è un’ottima idea, meglio ancora se realizzata con acquisti regolari che vadano a cogliere tutte le fasi del mercato. Da evitare invece i prodotti spot a 5-6 anni indicizzati alle materie, perché il periodo è troppo breve e perché quando questi prodotti vengono emessi solitamente siamo in un boom dei prezzi, con i giornali che titolano oggi sul caro petrolio, o ieri sui record del rame, domani su quelli dello zucchero, che fanno diventare tali beni non appetibili su orizzonti così limitati se non al costo di eccessivi rischi.
La seconda considerazione si va a inserire nel dibattito sugli incentivi alle energie rinnovabili, sull’economicità di alcune di esse e sul ritorno o meno al nucleare. Il discorso è complicato, ma c’è un dato con cui credo si debbano fare i conti e riscrivere alcune analisi, ed è quello dello scenario sopra delineato. Il protagonista nascosto di tutto il discorso è il solare. A breve termine da petrolio e carbone non ne potremo uscire, e il ritorno al nucleare è più che altro roba di propaganda, almeno per l’Italia. Ma i conti fatti sullo sviluppo e gli incentivi all’energia solare, quanto tengono in considerazione le previsioni di crescita dei paesi in via di sviluppo e del prezzo energetico che per noi tale crescita comporterà?
Lasciamo perdere il Gabon, forse statisticamente è meno rilevante, e lasciamo perdere i paesi sviluppati, la Corea e le altre 3 “vecchie” tigri asiatiche (Hong Kong, Taiwan, Singapore), partite molto prima degli altri paesi emergenti. Ma Malesia e Thailandia non sono mete così lontane nel consumo pro capite di energia, e a breve molti emergenti vi si avvicineranno.
Il solare, allora, in attesa di una fusione nucleare a freddo oggi ancora lontanissima, sembra l’unico bene abbastanza uniformemente distribuito sul pianeta in grado di soddisfare qualunque crescita di qualunque paese, ma va intrappolato. Forse gli incentivi di oggi sono più che altro dispendiosi e inefficienti e andrebbero nuovamente studiati. Allo stesso tempo, però, i costi attuali del solare andrebbero valutati in una prospettiva di prezzi molto più elevati delle alternative energetiche che oggi sembra da emergenza, ma che domani sarà la dura regola imposta dal mercato.




 
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