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Dichiarazione d'amore per Aung San Suu Kyi



Pubblicato il 17 novembre 2010 su La Voce di Romagna

di Simone Mariotti

Era il 2004 e mi recai da Mirco alla Libreria Riminese per comprare un guida della Birmania. Ero molto combattuto: andare o non andare a gironzolare un po' in quel paese sfortunato?
Aung San Suu Kyi sosteneva a quel tempo la linea del boicottaggio turistico come forma di pressione sulla giunta militare al potere. In seguito la sua posizione cambiò, dicendo che dopo tanti anni di isolamento dal mondo, il popolo birmano non doveva più sostenere da solo il fardello della dittatura e un certo tipo di turismo non governativo poteva aiutare. E anche sulla copertina della mia guida c'era scritto, invece dei soliti slogan sulle bellezze del paese, "Andateci solo con le idee chiare".
Io le idee chiare non le avevo, e quella volta mi diressi in Malesia e il destino ne fece una delle più indimenticabili esperienze della mia vita.
Una cosa però alla fine, sino a oggi l'ho capita. Al di la dell'aiuto o meno al popolo, non ho mai amato visitare un paese sotto assedio di una dittatura per il solo motivo, come da tanti ho sentito, che così facendo sarebbe stato il solo modo di vedere il vero volto del paese, prima che la "civiltà" vi arrivi. Non ho rimpianti per non essere andato nei paesi dell'Est Europa ai tempi della cortina di ferro, ne a Cuba nei primi anni dell'apertura al turismo, ne in Birmania anni fa. Ho invece il rimpianto di non essere nato prima per poter viaggiare nell'Afghanistan prima dell'invasione sovietica, nel fiorente Libano prima della guerra, in tanti paesi prima della dittatura.
Ci sono popoli e nazioni che sono stati invece massacrati dalla storia e oramai distrutti e snobbati dalle potenze, e benché ancora imprigionati, hanno solo bisogno di contatto umano per rialzarsi e i viaggiatori possono aiutare veramente il popolo in modo diretto, senza più passare per le strutture governative, come in Laos per esempio.
Forse ho sbagliato a non dare il mio piccolo contributo di viaggiatore, ma sino a oggi proprio non ce l'ho fatta ad andare nel paese di Aung San Suu Kyi, e forse anche io sono stato parte di quel mondo che l'ha fronteggiata.
Sì, perché lei ha avuto in realtà il mondo come controparte, e quell'amore-odio che avrà nei nostri confronti per averla amata, ma non con tutta la forza che si poteva, e per troppi anni averla abbandonata, farà parte sempre della sua vita. Saremo, noi e lei, amanti, avversari, riconciliati e rispettati. E più di ogni altro credo che lei abbia, suo malgrado, riconosciuto il suo stesso valore anche dal nostro combatterla, perché il regime dei generali è stato difeso tanto dall'autoritaria Cina quanto dalla democratica India, nella più assoluta e sostanziale indifferenza dell'Occidente. Avversari, quasi nemici, duellanti.
Ma è la differenza tra avversari, così come tra politici, imprenditori, sportivi o innamorati, che fa stimolante quella vita che vale la pena essere vissuta, e così vale per la ricerca, la crescita, i rapporti personali, anche quelli sportivi, sempre che tu non ne faccia, in tutti i campi, solo una questione banalmente fisica.
E quando finisce un confronto col nemico, avversario, amato… se quel dirimpettaio della tua vita, della tua mente, del tuo lavoro, del tuo cuore è stato all'altezza, se hai combattuto e vinto o se sei stato attaccato e colpito a terra, ma con onore reciproco, allora anche di un acerrimo nemico senti la mancanza, così come alla fine di un amore resta la stima se non si è stati umiliati, perché l'umiliare è dei vigliacchi, e dei vigliacchi non si ha stima, anche se perderla a volte fa un gran male, e non vorresti.
Anche per lei credo sia stato così. E la sua grandezza è che il suo vero avversario sono state le grandi potenze e il nostro mondo che agiva per sé, mentre i generali hanno solo giocato il ruolo ragazzoni capaci unicamente di forza fisica e vigliaccheria. Un avversario che però, spero lei capisca non ha voluto umiliarla, ma "solo" neutralizzarla per opportunità.
Oggi come ieri la Birmania va aiutata a ritrovarsi, perché di fatto non è cambiato nulla, e Aung Sang ha perso perché liberata in un'area asiatica dove la democrazia non avanza certamente, dove lei non è forse nemmeno più temuta.
Ma io amo Aung San Suu Kyi, perché è una grande donna, perché è una non violenta, perché sino a ora non ha ceduto con grande dignità, coraggio e sofferenza. "Mi piace", e tanto, e pur non essendo un grande utilizzatore di Facebook, lei è tuttora l'unico personaggio pubblico sulla cui pagina ho avuto voglia, sin da subito, di cliccare su quel tasto col pollice in su. Ben poca cosa.
In Birmania allora ci andrò, senza dimenticare il passato e le mie colpe, perché dimenticare è sempre sbagliato, specialmente se il passato è ancora lì. Ma come diceva Pierangelo Bertoli, ci andrò "con un piede nel passato, e lo sguardo dritto e aperto nel futuro", per iniziare a far sì che di quella storia finita di lotta e amore non si perda la stima, e ne possa iniziare un'altra, magari più bella.




 
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