Pubblicato il 20 gennaio 2010 su La Voce di Romagna
di Simone Mariotti
In questi giorni sembra di respirare un po', solo un po', di
quell'aria di libertà di opinione e di informazione vissuta dall'Italia
in quel biennio tra il '92 e il '94, e che culminò con i referendum del '93.
Era una libertà che derivava da un fatto sostanziale e fondamentale per
la democrazia: non c'era più un padrone solo che plasmava l'asfittico
sistema dell'informazione. I politici di potere erano ancora lì, era
la politica che non c'era più, ma da anni. I politici (sempre quelli
di potere) tennero il segreto di pulcinella sino a che ne furono in grado, poi
mollarono, troppo impegnati a scoprire di che morte sarebbero morti, chi sotto
i colpi della magistratura, chi sotto quelli della storia. Dibattito infinito,
e ancora lungo.
Fatto sta che, per un po', il potere indebolito aveva altro a cui pensare e,
per un po', tv e giornali si comportarono come dovrebbero sempre in una democrazia
decente, in modo libero, senza padroni, senza spade di Damocle sulla testa,
senza troppa paura che una parola sbagliata potesse costare posto e carriera.
Io avevo poco più di vent'anni, seguivo la politica dalla fine degli
anni ottanta, mi rimase impresso quel periodo in cui passai dalle soporifere
tribune politiche dell'era CAF, dagli imbarazzanti resoconti da Montecitorio
di Vittorio Orefice (che però non raggiunsero mai i livelli del Minzolini
di oggi), all'era in cui Segni e Pannella passavano in Tv come tutti gli altri
sino a essere considerati i politici preferiti dagli italiani (fu il giorno
dopo il referendum elettorale del '93), mentre in uno show di prima serata di
Canale 5 (!!!) le ballerine festeggiarono il compleanno di Di Pietro cantandogli
sorridenti e felici "tanti arresti a te!". Poi c'era Feltri che inneggiava
alla fine di quella classe politica, e ho ancori i ritagli di alcune pagine
del suo Indipendente, dei suoi roventi editoriali dei primi anni novanta,
un giornale che se uno si fosse addormentato allora e svegliato oggi confonderebbe
con Il Fatto, con buona pace di entrambi.
Le idee insomma tornarono ad animare il dibattito, a prevalere su interessi
troppo personali, lotte intestine e giornalisti lecchini e compiacenti.
Durò poco, e non fu solo colpa di Berlusconi, fu il sistema che si ricompattò,
espellendo di nuovo gli intrusi e dopo due anni di transizione tra il '94 e
il '96, furono ristabiliti buona parte degli equilibri perduti.
Berlusconi si "svegliò" e abbandonò subito tutte le
sue velleità liberali, rimanendo a gestire l'ordinario e il personale,
avendo nel frattempo seminato da solo i semi di tutte le sue grane future, avendo
creato dal nulla Casini e triplicando il consenso del vecchio Msi, che aveva
semplicemente cambiato nome.
La sinistra illusa, che rifiutò la proposta di Pannella di fare un vero
Partito Democratico (ed eravamo nel 1992!) rimase inchiodata al pur deboluccio
baluardo di Prodi, ben si guardò dal rimuove i conflitti di interessi
del nuovo avversario milanese, mandando a casa entrambe le volte l'unico che
aveva battuto il capo della destra.
Non è che siamo al '93, ma la serenità di opinione di un tempo
un po' forse è tornata in questa campagna regionale che si sta aprendo.
Forse è un'illusone, ma il momento di debolezza nella leadership dei
due maggiori partiti, sta lasciando spazio a qualcosa di nuovo. Sia chiaro,
ritengo decisionismo e carattere due qualità eccellenti in un leader,
molto meno invece l'inamovibilità o il terrore degli avversari interni
di farsi avanti per timore di compiere una lesa maestà. Siamo ancora
assai lontani dall'ottimo, ma Berlusconi regna meno incontrastato di prima e
l'Immobilismo Fifone e Nullafacente, vero imperatore del partito sino a ora,
sta mollando la presa sul PD.
La sfida Bonino-Polverini viene vista da alcuni come un segnale di tutto ciò,
una speranza di veder tornare in tutti la passione e la voglia di liberare le
opinioni in modo più sereno, e di riuscire a diffonderle in modo democratico,
di veder rinascere la politica.
Se Feltri dice che forse voterà Bonino, contro la candidata del PDL creata
dal nulla dal levantino Ballarò, vuol dire che un po' ci stiamo
avvicinando alla democrazia americana, dove stati conservatori possono eleggere
candidati democratici e viceversa, dove nelle elezioni la sfida è tra
le persone e quello che dicono, non una lotta fideista tra simboli di partito.
E se questo sarà davvero il tipo di confronto che prevarrà nel
Lazio, la Polverini dovrà avere un supporto un po' meno instabile degli
insulti che Giuliano Ferrara ha iniziato a scaricare sulla Bonino.
Anche a Rimini qualcosa sta momentaneamente cambiando. Approssimandosi la fine
di un lungo ciclo amministrativo non tutti i poteri sono così solidi
come prima. E qualche coraggioso capace di uscire dal coro magari ci sarà.