Pubblicato il 29 ottobre 2008 su La Voce di Romagna
in prima pagnia
di Simone Mariotti
La settimana scorsa abbiamo visto come l'eccesso di fiducia
che si era sparso nel mercato azionario americano degli anni '20, aveva creato
un enorme castello di debiti garantiti da azioni che si sostenevano solo grazie
ai rialzi del mercato che col tempo erano diventati sempre più irragionevoli.
Ma nell'ottobre del 1929 quel castello iniziò a sgretolarsi, innescando
una reazione a catena al ribasso che non si fermò che tre anni dopo.
Paradossalmente, anche la stessa esistenza della Federal Reserve era stata in
parte una causa di instabilità. Creata nel 1913 con lo scopo di regolare
il mercato monetario e valutario, nonché i tassi d'interesse, le fu però
attribuito un potere che non era in grado di esercitare, e cioè quello
di riuscire a evitare gli squilibri che si erano verificati nel passato, dovuti
secondo i più all'assenza, appunto, di una banca centrale. L'allettante
fantasia di poter operare avendo le spalle coperte da mamma Fed fu subito apprezzata.
Ma purtroppo così non fu, anche perché nel sistema monetario internazionale
di allora un grosso peso lo aveva ancora la Bank of England. L'istituto inglese
aveva orchestrato abilmente il sistema aureo internazionale dalla sua creazione
fino al primo dopoguerra, ma aveva continuato ad esercitare la sua influenza
anche in seguito, intervenendo nelle questioni americane e condizionando l'operato
del giovane ed inesperto Federal Reserve System. In particolare si adoperò
affinché la Fed tenesse forzatamente bassi i tassi americani negli anni
'20 per proteggere con orgoglio nazionalista la forza sterlina. Un errore madornale
che provocò crisi in Inghilterra e ubriachezza molesta in America. La
Federal Reserve si dimostrò incapace di gestire la situazione, tanto
che Galbraith scrisse che il Consiglio dei governatori della Fed "era in
quell'epoca un organo di straordinaria incompetenza". Inoltre, non essendo
riusciti a controllare la speculazione prima, anche a crisi scoppiata i banchieri
centrali non si dimostrarono particolarmente perspicaci. Ancora nel maggio del
1930, non si erano del tutto convinti della gravità della situazione
e in un comunicato "ammisero" che pareva esserci una business depression.
Tornando alla cronaca della crisi, si racconta che il 24 ottobre 1929 Winston
Churchill, in visita a New York, stesse passando per Wall Street quando dal
palazzo uscì della gente che lo invitò ad entrare. Sotto i suoi
occhi si svolse il dramma di quello che passò alla storia come il Giovedì
Nero. Il panico si era scatenato all'improvviso e, apparentemente, senza motivo.
Si registrò un enorme volume di scambi e più di 12 milioni di
azioni passarono di mano, infrangendo largamente tutti i record precedenti.
Grazie all'intervento di un gruppo di banchieri che verso mezzogiorno si erano
riuniti nella sede della JP Morgan (allora come oggi paladina dei banchieri
d'America), e che iniziarono a comprare azioni, il disastro per quel giorno
fu evitato. L'indice perse solo 6 punti e il giorno dopo la calma sembrava essersi
ristabilita. Il professor Fisher continuò nel suo ottimismo minimizzando
l'accaduto. Quando la borsa riaprì il lunedì successivo gli operatori
si dimostrarono decisamente in disaccordo con lui. Lunedì 28 e martedì
29 (il Martedì Nero) saranno ricordati come i due giorni più disastrosi
dell'intera storia economica americana. Tre anni dopo il Dow Jones, che al suo
apice del '29 valeva 381,17, si era inabissato a quota 41,88.
Tornano al confronto con le crisi di oggi, quella del '29 assomiglia molto di
più a quello che accadde a fine anni '90 con il mercato della tecnologia,
che non al problema dei mutui, in cui è il sistema bancario ad essersi
bloccato drenando la liquidità dal sistema.
Dal 2001 la bolla internet è stata sostituita dalla bolla immobiliare.
Il problema è nato sempre per la stessa ragione: si pensava che il prezzo
di un bene (le case questa volta) fosse destinato e incrementi perenni. Sono
stati concessi prestiti in modo spropositato garantiti da immobili a valore
di bolla... il resto è cronaca di questi giorni.
La maggiore maturità dei mercati ha fatto sì che la bolla tecnologica
causasse una forte correzione anche in altri settori senza però traumatizzare
il mercato. Il Dow Jones dal picco del marzo 2000, nei cinque anni successivi
perse mediamente circa il 20% con punte del 25-30%. Ed anche oggi, a più
di un anno dallo scoppio della crisi dei mutui, nel momento forse più
buio, gli indici di borsa fanno segnare cali tra il 40 e il 50%. Situazioni
ben diverse dal tracollo dell'89% che l'indice Dow Jones subì tra il
1929 e il 1932. Numeri questi che forse fanno capire che quel disastro lontano
fu ben più grave degli spettri che aleggiano oggi, anche, e soprattutto,
in termini di ampiezza della recessione (pochi punti di PIL in meno attesi oggi,
contro un calo di oltre il 25% di allora). Ed il mondo seppe comunque riprendersi
anche dal '29, passando pure in mezzo alla più devastante guerra globale
della storia dell'uomo.
Tuttavia, se è vero che, come ha sottolineato Alberto Alesina qualche
settimana fa sul Sole 24 Ore, successivamente al '29 furono commessi madornali
errori di politica economica che oggi possono essere facilmente evitati, incombe
sempre il pericolo del qualunquismo economico dei politici. Due dei principali
mali che aggravarono la depressione globale degli anni '30, protezionismo e
iper-regolamentazione dei mercati e della speculazione (e c'è chi considera
oggi questi due ultimi termini quasi sinonimi) sono minacce che incombono sul
nostro futuro. C'è da sperare che i governanti abbiano studiato bene
gli errori commessi dal presidente Hoover 80 anni fa, e non si facciano solo
conquistare da quel che il popolo si vuol sentire dire. Ascoltando le domande
che i deputati americani hanno fatto al capo di Lehman Brothers, non c'è
da stare allegri. Ed anche in Italia, da questo punto di vista, non siamo messi
gran che bene, qualunque sia la vostra parte.