Pubblicato il 15 ottobre 2008 su La Voce di Romagna
in prima pagina
di Simone Mariotti
Mi è sempre stato simpatico, oltre che essere un eccellente
economista, e quando lunedì gli è stato finalmente assegnato il
Nobel avrei tanto voluto essere li a stringergli la mano.
Questa settimana volevo parlarvi della crisi del '29, tanto spesso evocata in
questi giorni, per cercare di far luce sui veri numeri che la caratterizzarono,
ma sono stato colto di sorpresa dalla piacevolissima notizia del supremo riconoscimento
assegnato a Paul Krugman. Del '29 ne parleremo la settimana prossima.
Sarà che è l'autore (assieme a Obstfeld) di uno dei migliori libri
di economia internazionale mai scritti, uno di quelli che anche dopo vent'anni
si ha il piacere di sfogliare, di riscoprire perché tanto ti hanno dato.
Sarà perché oltre ad essere un accademico è un grande divulgatore,
dotato di una capacità e di una efficacia dialettica formidabile e micidiale.
Sarà che è sempre stato uno dei più acerrimi nemici di
George Bush e dei suoi disastri di politica economica. Sarà perché
gli amici del Foglio non se la possono prendere, e sarà che è
un liberal che i repubblicani considerano un comunista e i no global quasi un
fascista. Sarà, ma Paul Kugman per capacità e moralità
è una delle poche persone al mondo a cui non avrei paura di dare carta
bianca in campo economico, magari assieme a Francesco Giavazzi.
L'economia è una bestia strana, mutevole, ingannevole, spietata. Non
è una scienza esatta come le altre; non è una scienza, ma quasi
una filosofia. Ti dà ragione per una stagione e ti sbugiarda quella successiva.
Ma esserne un protagonista significa essere capace di entrare in questo groviglio
e cavarne una soluzione che va necessariamente calata in un certo contesto.
Così, non fu peregrino assegnare il Nobel al neo-keynesiano Samuelson
nel '70 e pochi anni dopo al monetarista Friedman. E Samuelson stesso, un po'
come Krugman, era appunto un neo-keynesiano, segno che anche la stagione di
Keynes era passata, ma non era passato Keynes. Insomma si procede grazie al
susseguirsi di "colpi di scena", e se a volte i Nobel sono assegnati
a studiosi schivi, oggi si premia anche un brillantissimo polemista; e avrà
da lamentarsi Giuliano Ferrara, ma negli ultimi anni a Stoccolma non hanno sbagliato
un colpo, neanche quando quattro anni fa hanno premiato il "suo amico"
Prescott, che inneggiava ai tagli di fiscali di Bush, mentre Krugman lanciava
strali ammonendo sul possibile disastro. Lo sbeffeggiarono con stucchevole saccenteria,
e ci fu chi, tra i consiglieri economici della alla Casa Bianca, chiamò
il proprio cagnolino Keynes in segno di disprezzo. Temo che oggi il guinzaglio
lo porti qualcun'altro.
Cantonate che prendono continuamente anche ai Nobel, specialmente quelli che
considerano le loro teorie come dei dogmi assoluti. E forse in futuro capiterà
anche a Krugman, il cui ego smisurato è assai noto.
Nell'introduzione ad uno dei suoi ultimi libri, "La deriva americana",
del 2004, una raccolta dei suoi articoli per il New York Times, scrisse di sé:
"In questi giorni vengo spesso accusato di essere in liberal incallito,
persino un socialista. Ma solo pochi anni fa ai veri liberals incalliti io non
piacevo affatto. Una rivista mi dedicò addirittura un articolo di copertina
per attaccare le mie vedute a favore del capitalismo, e ancora conservo una
lettera arrabbiata che Ralph Nader (il primo leader del movimento no global,
nda) mi ha mandato quando ho criticato i suoi attacchi alla globalizzazione.
Se sono finito a scrivere abbastanza spesso pezzi contro la destra, è
perché oggi la destra governa - e governa male. Non si tratta solo di
perseguire linee politiche incapaci o irresponsabili; i nostri leader mentono
su quello che sono in grado di fare [...] Mi spiace dirlo, ma questo non è
un libro allegro. E' soprattutto sulla delusione economica, la cattiva gestione
della cosa pubblica, e sulle bugie dei potenti. Non disperiamo: in America non
è andato storto niente che non si possa riparare. Ma la prima cosa da
fare in una riparazione è capire dove e come il sistema si è guastato".
Era il 2004 e molte delle sue paure si sono materializzate, ma Krugman non è
uno che si avventura in previsioni da guru, e neanche lui, pur criticandone
l'operatività, aveva previsto la dimensione della catastrofe recente
delle banche d'affari americane.
Può essere che il suo rigore accademico non sia più quello di
un tempo, e forse la sua passione politica lo ha fatto a volte troppo arrabbiare,
come quando di recente nel suo blog scrisse che "il nonsenso in questo
dibattito (si parlava dell'idea, tanto cara ai politici da strapazzo, che era
la speculazione la causa del rialzo del prezzo del petrolio, nda) mi fa venir
voglia di sparare in faccia a qualcuno" - ricordando queste parole, Alessandro
Merli sul 24 Ore aggiunse ironicamente: "Tremonti sarà più
al sicuro se eviterà di invitarlo al prossimo meeting dell'Aspen Institute".
Ma Krugman è una di quelle autorevolissime spine nel fianco che un politico,
non solo di destra, vorrebbe togliersi di dosso volentieri, ed è un gran
bene che sia stato premiato.