Pubblicato il 3 ottobre 2007 su La Voce di Romagna
in prima pagina
di Simone Mariotti
"La giunta militare di Myanmar (Birmania), ha prolungato
di un anno gli arresti domiciliari di Aung San Suu Kyi, leader carismatica dell'opposizione
e premio Nobel per la pace, nonostante gli appelli internazionali per la sua
liberazione. Nei giorni scorsi si era sperato in un alleggerimento delle restrizioni
imposte: al contrario, le misure di sicurezza intorno all'abitazione di Rangoon
sono state rafforzate. Due giorni fa il segretario delle Nazioni Unite aveva
rivolto un appello per Aung San Suu Kyi al capo della giunta militare birmana,
generale Than Shwe".
Quella che ho appena citato non è un'Ansa degli ultimi giorni, ma una
notizia inserita tra le "brevi" del Sole 24 Ore di un anno e mezzo
fa.
Negli stessi giorni un'altra notizia riempiva le piccole cronache internazionali.
Il Giappone, in modo assolutamente plateale, dichiarava ad un conferenza tenuta
ad Okinawa di voler comperare i voti espressi dai piccoli stati del Pacifico
nell'Assemblea Generale dell'ONU. Koizumi la chiamò "Okinawa partnership"
ed in cambio di 400 milioni di dollari, Fiji, Micronesia, Vanuatu, Tuvalu, Kiribati,
Isole Marshall, Nauru, Palau, Papua Nuova Guinea, Samoa, Tonga e Isole Salomone,
che assieme pesano un enorme 6% all'interno delle Nazioni Unite, assicurarono
per un po' l'appoggio ai nipponici.
Ma questi piccoli stati non disdegnano neppure i soldi cinesi, dato che diversi
di essi ancora non riconoscono ufficialmente Taiwan in cambio di quattrini.
E questo mercanteggiare non era ovviamente cosa nuova.
La Cina, nel 2004, aveva "ufficialmente" comperato dall'isola di Dominica,
stato indipendente situato tra le colonie francesi di Guadalupa e Martinica,
il suo voto contro il riconoscimento politico di Taiwan. Il prezzo allora fu
di 122 milioni di dollari, che per i 70.000 abitanti di Dominica non erano bruscolini.
La cosa bella fu che la stessa Taiwan ne aveva acquisito l'appoggio nei venti
anni precedenti con contributi di varia natura. La stessa cosa era accaduta
per altri piccoli stati come Nauru (9.900 abitanti), la Liberia, la Macedonia.
A che serve allora l'ONU? A fare riunioni che distraggono un po' dalla politica
locale? A creare posti di lavoro per i soliti furbetti? Che serve l'ONU nel
caso Birmano? Per ammonimenti, moratorie, inviati sparsi qua è là
a fare quattro chiacchiere? Per carità, tentar non nuoce.
Ma allora se ci sono al mondo tutti questi campioni di democrazia che si scandalizzano
per la repressione dei monaci, perché i generali Birmani fanno quello
che gli pare da 40 anni con il beneplacito di tutto il mondo?
Certo, oggi tutti i moralizzatori insorgono, Francesi e Italiani in primis,
che però sono ben contenti di fare affari di ogni sorta (armi in particolare)
con i due maggiori responsabili del disastro Birmano, India e Cina.
Ma l'ipocrisia occidentale è ancora più grande. Quando la Suu
Kyi fu arrestata, la Cina non era il colosso economico di oggi, ne lo era l'india.
Ma nessuno mosse un dito. Però, un anno e mezzo dopo, tutto l'occidente
compatto scatenò una guerra a Saddam (sacrosanta, se l'avessero portata
a termine) perché aveva invaso il piccolo Kuwait per una disputa di quote
petrolifere non rispettate. Perché?
Per i soldi, i soliti sporchi, maledetti soldi. E purtroppo in un mondo in declino
come il nostro, quello occidentale intendo, contano sempre di più, e
non solo se si tratta di invadere o no uno stato. Per le passioni, l'amore ed
i sogni c'è rimasto poco spazio, roba d'altri tempi, o d'altri luoghi.
E se il nostro divano di casa rischierà di indurirsi un po' in cambio
di qualche repressione lontana in meno, béh, mi sa tanto che il manganello
sulla testa dei birmani di turno ci sembrerà d'incanto molto meno doloroso.
Tanto sarà qualcun'altro a prenderle.
Forse sono stato un po' qualunquista. Pazienza, prendetemi così, oggi.
Ma molto molto non credo di sbagliare.