Pubblicato il 2 novembre 2005 su La Voce di Romagna
in prima pagina
di Simone Mariotti
Alla vigilia del collocamento della terza tranche della privatizzazione
Enel, avvenuta a metà ottobre 2004, l'investitore che aveva partecipato
sin dall'inizio l'avventura borsistica del nostro colosso elettrico (novembre
1999) si ritrovava a fronte di un investimento di 4.300€ (1000 titoli),
un cumulo dividendi per circa 1000€ (tasse escluse). La valorizzazione
di mercato delle sue azioni, che nel frattempo per bonus e raggruppamenti vari
erano diventate 525, era però scesa a 3.500€. In totale un plus
di un centinaio di euro scarsi in 5 anni. Poca roba.
Se a questi valori sottraiamo i costi necessari a mantenete i depositi amministrati
che molti hanno aperto per poter diventare azionisti per la prima volta, il
bilancio gira subito in rosso.
Questa era la situazione alla vigilia della 3° tranche. Cosa è accaduto
da allora? I grandi strateghi della comunicazione "made in Enel",
che già avevano brillato trasformando Alessia Mertz in una accattivate
fatina, si sono ripetuti con una campagna obiettivamente ben centrata, che è
riuscita a scaldare il cuore dell'investitore italico.
Un anno fa le azioni Enel sono andate letteralmente a ruba. Il prezzo alla chiusura
del collocamento (27 ottobre 2004) fu fissato in 6,64€ per azione, con
il solito "incentivo" di 5 azioni su 100 per chi avesse mantenuto
i titoli per un anno.
Il 28 ottobre 2005 i titoli Enel quotavano 6,55€. Considerando il però
dividendo (lordo) incassato a giugno e il bonus del 5%, l'investitore fedele
si ritrova oggi nel portafoglio un incremento dell'8,9% rispetto a quanto investito
un anno fa. Sembrerebbe un ottimo risultato. Vediamo invece perché non
lo è.
Quali sono le domande di base che un investitore serio, uno cioè che
ragiona infischiandosene della pubblicità, dovrebbe fare ponendosi di
fronte ad un'opportunità come quella del collocamento Enel?
La prima è: voglio veramente investire in azioni?
Molti sottostimano il rischio di questo tipo di investimenti perché coccolati
dall'idea del bonus, visto e venduto come una specie di paracadute, ma si dimenticano
di considerare che la volatilità media del mercato, che in passato non
ha risparmiato anche titoli più conservativi come Enel, è molto
più elevata. Per la cronaca, chi ha sottoscritto Enel 4 la scorsa estate
si trova oggi con un valore dei titoli (pagati 7,07€) di oltre il 7% inferiore,
e questo in pochi mesi.
Per molti investitori alla ricerca di rendimenti più elevati dei Bot,
ma con una propensione al rischio contenuta, le obbligazioni aziendali (meglio
se acquistare in pacchetti tramite fondi o etf) sono molto più indicate
rispetto ai collocamenti come quelli Enel, come ben sanno coloro che sono rimasti
impantanai nella prima tranche, mentre il mercato obbligazionario globale galoppava.
Seconda domanda. Una volta deciso di investire in azioni, il vero quesito è:
perché Enel? Ho un qualche motivo particolare per puntare tutto su un
titolo italiano del settore utilities? Se credo nelle utilities o negli energetici
perché limitarsi a Enel?
Ancora una volta il miraggio del bonus fa si che schiere di investitori si convincano
che pagare il prezzo offerto nel collocamento sia un ottimo affare anche per
loro (per il Tesoro italiano lo è sicuramente sempre).
Diamo allora un'occhiata a cosa è successo a chi avesse più saggiamente
deciso di investire in utilities puntando non su un solo titolo, ma sull'intero
settore.
L'indice Eurostoxx Utilities che racchiude tutti i titoli dell'area euro nello
stesso periodo del collocamento ha fatto segnare un incremento del 19%, più
del doppio di quanto ottenuto dall'investitore in Enel (che oltretutto ha pure
beneficiato del bonus, al contrario del resto dei titoli delle utilities europee).
Ma se diamo un'occhiata ai fondi comuni specializzati in questo settore (in
Italia ce ne sono una quindicina e tutti i maggiori gruppi bancari ne dispongono),
i rendimenti registrati oggi a un anno vanno dal +19,6% del peggiore al +30,5%
del migliore, costi di gestione compresi. Mediamente il triplo rispetto a Enel.
Chi ha fatto allora l'affare: il cittadino che ha strapagato i titoli di una
settore in forte crescita e oggi si illude di aver azzeccato un bel colpo o
il tesoro che glieli ha appioppati?
Non vi preoccupate, la storia è la stessa in tutte le parti del mondo.
Due collocamenti azionari su tre si rivelano un cattivo affare per i sottoscrittori,
che meglio avrebbero fatto a comperate i titoli sul mercato secondario, a prezzi
più trasparenti e dopo un'attenta valutazione della propria situazione
patrimoniale.
Non ho mai consigliato a nessuno di investire il proprio denaro nei collocamenti
pubblici, specialmente in quelli più pubblicizzati. Probabilmente ogni
tanto si perde qualche occasione (come Google, ma quanti Italiani lo hanno acquistato?
E siamo sicuri che il valore di oggi sia sostenibile? Il futuro dirà
se mi sbaglio), ma nella media il conto è sempre negativo.
La pensa così anche colui che è considerato il miglior investitore
del mondo, Warren Buffet, che a proposito delle IPO (Initial Public Offering),
che a lui e ai suoi collaboratori non sono mai piaciute, disse mesi fa: "In
un collocamento di borsa sono i venditori che decidono quando offrire i titoli
sul mercato; così non è molto probabile che lo facciano in un
momento che conviene a voi risparmiatori".