Pubblicato il 26 aprile 2006 su La Voce di Romagna
in Prima pagina
di Simone Mariotti
Gli appelli del fondo monetario e delle altre istituzioni economiche
internazionali sulla salute dei nostri conti pubblici, pare seguano una sorta
di legge inversa: più sono forti e frequenti, più la classe politica
(desta e sinistra pari sono) fa di tutto per ignorarli.
Le chiacchiere da fare sono poche. La realtà che nessuno vuole ammettere,
soprattutto davanti agli elettori, è che è ora di far basta con
il mito del bel paese. Se l'Italia è stata una nazione più povera
di altre, ma dove si viveva meglio di moltissime altre, è stato sì
per l'intraprendenza degli italiani (ma non esageriamo con la solita sviolinata
del bravo guagliò o burdel, passionale ed inventivo, che non siamo più
negli anni '50 e '60), ma perché siamo stati per 40 anni, gli ultimi,
i più grandi spreconi dell'universo, ed ora la festa è finita
e bisogna stringere la cinghia. Punto e basta.
Una delle strade è certo quella di eliminare gli sprechi. Già,
gli sprechi. Ne parlano tutti come un requisito indispensabile per il risanamento.
Peccato poi che sempre ci si dimentichi di aggiungere che gli sprechi non sono
solo le parcelle-furto da pagare a notai e corporazioni varie, ma anche, per
esempio, alla grande schiera di statali che vengono pagati per lavorare come
il sale nelle ricette: q.b.
Il governo Zapatero, da sinistra, sta introducendo un principio che da noi solleverebbe
una rivoluzione violenta: la retrocessione (con tanto di riduzione di stipendio)
per i dipendenti pubblici un po' lavativi. E Zapatero non è proprio uno
"sporco conservatore neocon, spietato e ultraliberista". "Sono
finiti i tempi in cui gli impiegati pensavano di aver ottenuto un posto per
tutta la vita, qualunque fosse il modo in cui veniva svolto", ha dichiarato
il ministro spagnolo per le amministrazioni pubbliche. Parole che sono sicuro
sono musica per le orecchie di molti, di molti non statali, s'intende.
E da noi? Si resta impantanati. Come sempre.
Nei mesi/anni passati sono stato tra quelli, pochi a dir la verità, almeno
nel fronte politico, che si sono schierati fortemente a favore dell'eliminazione
immediata, e sottolineo immediata, di tutti i privilegi delle corporazioni.
Per non parlare del dramma degli denaro bloccato su investimenti immobiliari
e fondiari altamente improduttivi.
Restano elementi urgenti e necessari, ma ovviamente non gli unici per evitare
che a breve il nostro paese necessiti di ulteriori stampelle, che prima o poi
faranno tutte un sonoro crack.
Quello dell'efficienza della macchina statale è uno dei tanti mali, che
va però combattuto con coraggio, alla spagnola.
E bisogna avere anche coraggio di fare cambiamento drastici. Vogliamo proporne
un paio?
1) Eliminazione immediata dell'ente inutile supremo per antonomasia: la provincia,
ovvero una formidabile macchina mangiasoldi che ha pochi pari nell'universo.
Andrebbero parimenti accorpate molte piccole amministrazioni comuni e creati
comuni di almeno 20mila abitanti. Con tale snellimento si libererebbero anche
valanghe di risorse per gestire una regione Romagna autonoma.
2) Pedonalizzazione di gran parte dei centri cittadini. Non abbiamo energia,
non so se lo avete capito! Pare di no, perché si continua ad usare denaro
per fare troppi pieni di benzina. Non un modo eccellente di utilizzare le nostre
risorse economiche. La bicicletta deve essere riscoperta dalla maggioranza delle
persone. C'è chi va in ufficio in auto dovendo fare meno di 5 chilometri.
Inaudito, se non si hanno problemi fisici. Ma anche le targhe alterne ed i blocchi
solo temporanei sono stupidi e completamente inutili perché non stimolano
ad un cambio delle cattive abitudini né da parte di cittadini né
delle amministrazioni, che non mettono in atto politiche alternative serie.
3) C'è una delle nostre più grandi risorse che né i cinesi
né nessun altro, se non noi stessi, ci potrà mai portare via:
il patrimonio artistico. In molti casi però sta andando a pezzi. Iniziare
un massiccio programma di restauro, magari risparmiando su buchi neri come la
Tav e il ponte sullo stretto, e trovare anche in tale settore un ruolo per la
manodopera immigrata, non sarebbe affatto male.